venerdì 20 marzo 2020

FIRST MAN - IL PRIMO UOMO: IL CARO PREZZO DEI SOGNI

A trentacinque anni e con meno di cinque lungometraggi al proprio attivo, tra cui uno totalmente indipendente, difficilmente si riesce a raggiungere i vertici della piramide alimentare hollywoodiana, eppure Damien Chazelle si trova oggi in questa invidiabile posizione, soprattutto dopo il successo strepitoso di La La Land (2016). Come da prassi ormai consolidata anche il giovane regista di Providence, complici i tantissimi premi ricevuti, condivide in egual misura estimatori e detrattori in tutto il mondo, in special modo dopo l'uscita della sua ultima fatica: First Man - Il primo uomo (2018). Nonostante le recensioni in grandissima parte positive ricevute, il film ha ricevuto numerosi attacchi dalla classe politica statunitense che ne hanno inficiato il percorso al botteghino, rivelatosi piuttosto deludente considerato il budget molto cospicuo e le legittime ambizioni.

La pellicola racconta, proprio come la biografia omonima, la vita di Neal Armstrong (Ryan Gosling), in particolare degli eventi che dagli albori degli anni Sessanta lo portano a posare piede sul suolo lunare. Pur senza lesinare sulle numerosi missioni ed eventi pubblici a cui l'uomo partecipa, il racconto si concentra soprattutto sul privato del protagonista, a cominciare dalla morte della figlia, passando poi per i rapporti con i colleghi più intimi e la moglie Janet (Claire Foy).

Di primo acchito l'idea di un biopic, genere già di per sé spesso votato alla celebrazione, su una delle figure più idolatrate della giovane storia statunitense può far pensare a un trionfo della retorica a stelle e strisce più gretta ma Chazelle non è certamente il classico cantore dell'american way of living e lo dimostra persino nel trattare una materia tanto delicata come questa. First Man, come detto poc'anzi, non cela le grandi imprese di cui si rende protagonista Armstrong, così come non nega la portata epocale di quella breve passeggiata mai sperimentata prima da nessun essere umano, ma focalizza il proprio sguardo sull'uomo dietro la tuta da astronauta, dipingendo un personaggio del tutto coerente con quelli visti nelle sue precedenti opere. Attraverso anche la peculiare recitazione per sottrazione dell'ottimo Ryan Gosling, l'autore di La La Land mette in scena in primo luogo un'esplorazione acuta e molto intima di un uomo posto dinanzi a una delle peggiori tragedie possibili: la perdita di una figlia, ancora bambina per di più. Per tutto il corso del lungometraggio, sia nelle sequenze in ambito familiari che in quelle sui mezzi della NASA, il cineasta americano pone la sua cinepresa, quasi sempre a mano, in posizione estremamente vicina ai volti e ai corpi dei personaggi, in particolare quelli dei coniugi Armstrong. Attraverso questo costante pedinamento, tra i silenzi di Neil e i tentativi di risvegliare nel sopito marito lo spirito dell'uomo che ama da parte di Janet, viene esplicitato il ruolo centrale assorto dal tema dell'elaborazione del lutto e di come i continui colpi inferti da un fato crudele finiscano per inficiare persino il raggiungimento di un sogno. Un sogno non più solamente privato ed "egoistico" come quello vissuto da Miles Teller in Whiplash o dallo stesso Gosling nel successivo lavoro di Chazelle, bensì un ambizioso obiettivo condiviso da milioni di persone e per questo ancora più importante. Un traguardo così prezioso da essere perseguito a discapito anche di un sacrosanto momento per poter piangere la morte di un amico (si pensi allo straziante silenzio con cui Armstrong reagisce alla telefonata che gli annuncia la morte di Edward White, interpretato con notevole efficacia da Jason Clarke) o delle comprensibili perplessità di una fetta di popolazione, ormai fin troppo coinvolta dall'assurdità del Vietnam e dalle iniquità sociali degli USA del periodo.

Ancora una volta dunque Chazelle racconta la storia di un sogno così potente, così folle da fagocitare qualunque cosa: figli, amici, amore, consenso popolare. First Man non rappresenta una sviolinata alla politica di potenza americana (ecco perché non viene inserito, alla faccia di tutte le polemiche, il celeberrimo momento in cui viene affissa la bandiera a stelle e strisce sul nostro satellite), bensì un nuovo capitolo della riflessione del regista su quanto si possa perdere delle propria umanità pur di perseguire uno scopo, per quanto nobile possa essere. La meravigliosa sequenza sul suolo lunare sembra concedere finalmente la redenzione tanto agognata per il tormentato Armstrong, eppure quella parete, per quanto trasparente, nella scena finale che lo divide dalla coraggiosa consorte non può che riportare alla mente il desolante addio tra Sebastian e Mia in La La Land.

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