Tra i profili più riconosciuti e riconoscibili del cinema contemporaneo europeo (e non solo) figura senza alcun dubbio quello di Nicolas Winding Refn, il cui status di cineasta-divo viene certificato dalla griffe NWR apposta alle sue ultime opere, siano esse lungometraggi, serial o addirittura piattaforme di condivisione online. Dopo aver conquistato il mondo intero con Drive (2011) la sua filmografia ha intrapreso un percorso di nuovo allontanamento dai canoni hollywoodiani, all'interno del quale ho scelto di approfondire il suo ultimo lavoro cinematografico: The Neon Demon. Presentata al Festival di Cannes nel 2013, con tanto di scandalo annesso, la pellicola ha spaccato letteralmente a metà critica e pubblico, attirando lo sdegno di molti e l'ammirazioni di tanti altri, finendo addirittura al terzo posto della classifica dei migliori film dell'anno stilata dai prestigiosi Chaiers du Cinema.
L'esile intreccio del film, scritto dallo stesso Refn, segue l'arrivo a Los Angeles della giovanissima Jesse (Elle Fanning), aspirante modella ancora minorenne e priva di qualsiasi esperienza, non solo sulla passerella. Nonostante l'ingenuità e la mancanza di conoscenze altolocate la ragazza riesce immediatamente ad entrare in una prestigiosa agenzia e attrae come una calamita lo sguardo e i favori di chiunque posi lo sguardo su di lei, in particolar modo la truccatrice Ruby (Jena Malone), il fotografo Jack (Desmond Harrington) e il designer Robert (Alessandro Nivola). Una tale ascesa accende però anche l'invidia di alcune colleghe, come l'esperta Gigi (Bella Heathcote) e la bellissima ma fragile Sarah (Abbey Lee).
Due poli apparentemente opposti animano il cuore sia narrativo che estetico di The Neon Demon: uno legato alla contemporaneità, alla società nella quale viviamo e alle istanze dell'audiovisivo strettamente attuali; l'altro connesso invece alle radici della cultura occidentale, al mito greco e al racconto fiabesco. Certamente appare chiaro come la pellicola utilizzi il microcosmo della moda, luogo per eccellenza in cui la superficie conta più di ogni altra cosa, per attaccare ferocemente l'horror vacui che caratterizza i nostri tempi. "La bellezza non è tutto, è l'unica cosa" afferma Robert esplicitando tale tematica , tutt'altro che nuova, e probabilmente questa epitome, così come l'intera critica imbastita dal regista danese, si riferisce anche all'attuale status del cinema e del più ampio panorama audiovisivo, sempre più ricco nell'involucro ma, allo stesso tempo, svuotato di significanti che vadano oltre la superficie e la vendita di un prodotto a una popolazione mondiale costituita da soli consumatori. Accettando questa chiave di lettura, certamente non così esoterica, diventa estremamente adatto l'impianto formale adottato dall'autore di Bronson (2008), dominato da asettiche inquadrature prive o quasi di movimenti di macchina, specchi, illuminazione esasperatamente artificiale e antinaturalistica, cura per la composizione così raffinata da trasformare ogni singola inquadratura in un set da servizio fotografico d'alta moda. L'artificio, la ricostruzione palesemente falsata del reale sostituisce il reale stesso al punto da rendere ben più perturbanti le rare sequenze ambientate alla luce del sole rispetto ai notturni a base di neon e violenza tutt'altro che edulcorata.
Completamente ed efficacemente fuso a questa essenza prettamente contemporanea del film vi è pero anche un polo poetico ed estetico ancorato fieramente alle fondamenta della cultura e della narrativa, ossia la mitologia e la fiaba. Refn ha più volte ribadito il proprio amore nei confronti del cinema di Dario Argento e in particolare per Suspiria (Dario Argento, 1977): notizie apparentemente aneddotiche che in realtà confermano come la pellicola in analisi si ispiri al capolavoro del cineasta romano e, soprattutto, a quella precisa scelta narratologica che prevede l'abbandono di qualsivoglia pretesa di verosimiglianza da romanzo ottocentesco in favore di un'atemporalità e un volo pindarico verso l'onirismo tipici della fiaba. Proprio come la Susy interpretata da Jessica Harper, Jesse entra in un mondo in cui lo spettacolo (la danza, la moda) si rivela essere solamente una copertura, un'ennesima superficie vuota abitata da esseri che di umano possiedono ormai poco. Streghe, stregoni, figure tanto affascinanti quanto sinistre che irretiscono le ragazze per poi cibarsene, metaforicamente e non. L'eroina di Refn, appartenendo a un racconto ibrido in cui la fiaba è solo una delle sue sfaccettature, nel corso del lungometraggio si dimostra però tutt'altro che candida e immacolata come quella argentiana o come Cappuccetto rosso. La giovane dal volto angelico di Elle Fanning vive un percorso personale che sveste man mano le premesse fiabesche per indossare invece quelle del mito e della tragedia classica greca, nello specifico quelle del mito di Narciso, la cui indescrivibile bellezza lo portò prima a innamorarsi di se stesso e poi a morire annegato nel tentativo di baciare il proprio riflesso nelle acque di un fiume. Come l'incauto personaggio classico la bionda sedicenne acquisisce una sempre maggiore consapevolezza della propria avvenenza fisica, del fascino che esercita sul prossimo, sia esso uomo o donna, fino a una scena in cui la sovrapposizione Jesse/Narcisio diviene totale ed esplicita. La prima sfilata professionistica della protagonista della pellicola viene filmata da Refn fin da subito con un montaggio rapidissimo e sincopato che, coadiuvato dalle psichedeliche luci al neon che illuminano a intermittenza un'ambiente totalmente nero, tramuta la realtà in sogno (o incubo). Un sogno in cui ai primi piani della modella si contrappongo delle rapide visioni di una inquietante costruzione triangolare. La sfilata si trasforma così in un vero e proprio trip che culmina nel congiungimento tra la ragazza e l'oscuro simbolo (il dio al neon a cui allude il titolo), durante il quale l'immagine di Jesse viene riflessa e la stessa finisce per venire attratta a tal punto da questa immagine speculare da baciarla, proprio come accadeva a Narciso. Di chiara matrice mitologica e tragica è poi anche il finale che attende la bellissima modella, in cui la hybris viene inevitabilmente punita in una sequenza che riporta alla mente sia i sabba delle streghe che la brutale morte di Orfeo, sbranato dalle Baccanti.
Questo e molto altro scaturisce fin dalla prima visione di The Neon Demon, ennesima escursione di Refn al di fuori della confort zone del cinema contemporaneo e proprio per questo capace di smuovere emozioni e riflessioni nello spettatore, anche nei detrattori.
Piccolo satellite orbitante attorno al pianeta Cinema ma con la forte attrazione anche per le altre arti e in particolare per quelle che più segnano la nostra contemporaneità: fumetto, videogame ecc. Fondamentale per me è che chi scriva qui abbia assoluta cognizione di causa (io ad esempio possiedo una laurea triennale al DAMS e una magistrale in scienze dello spettacolo). Auguro buona lettura e buona riflessione a chiunque voglia fermarsi su questo sperduto satellite della settima arte.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento