A due anni dal successo unanime di un film tendente in un certo senso a un realismo magico di saviniana memoria quale The Curious Case of Benjamin Button (2008) David Fincher realizza nel 2010 una sua versione del genere che per antonomasia guarda al reale e alla storia, il biopic. Mi riferisco in questo caso a The Social Network, pellicola ispirata alla nascita e ai primi anni del boom del fenomeno Facebook e alle vicende legali inerenti. Nonostante o probabilmente anche grazie alle controversie legate a un topic tanto attuale e alla scelta di raccontare un personaggio non solo ancora vivo ma anche molto giovane il lungometraggio si rivela un trionfo, sia dal punto di vista commerciale che critico, con tanto di numerosi premi vinti in tutto il mondo e il suo inserimento in ogni classifica dei migliori film dell'anno.
Protagonista della pellicola è ovviamente, come non manca di evidenziare la prima sequenza, Mark Zuckerberg (Jesse Eisenberg), giovane studente di Harvard che, per sfogarsi dopo essere stato lasciato dalla sua ragazza Erica (Rooney Mara), hackera tutti i portali online dei dormitori universitari così da rubare le foto di tutte le sue compagne e utilizzarle per creare FaceMash, un sito sul quale gli utenti possono votare con un click chi tra una coppia di studentesse sia la più desiderabile. La creazione del giovane viene bloccata in poche ore ma solo dopo aver raggiunto tutti gli studenti dell'università, rendendolo di fatto una celebrità nel campus, tanto da venire avvicinato dai gemelli Winklevoss (Armie Hammer nel ruolo sia di Cameron che Tyler), due rampolli di una ricchissima famiglia statunitense campioni di canottaggio e desiderosi di assumere il compagno per creare HarvardConnection, un social network dedicato solamente a coloro che frequentano la prestigiosa università. Mark accetta immediatamente ma soltanto per rendersi conto di poter sfruttare tale idea plasmandola secondo criteri maggiormente democratici e attraenti per gli utenti. Propone l'idea di un proprio social network al suo migliore amico Eduardo Saverin (Andrew Garfield), lo stesso che gli aveva fornito l'algoritmo per creare FaceMash, il quale accetta di finanziare il progetto che una volta concretizzatosi diventa The Facebook. L'inesorabile e rapidissimo successo della creatura della coppia cambia completamente le loro vite, attira la rabbia dei gemelli, i quali finiscono per denunciare Zuckerberg, l'amicizia tutt'altro che disinteressata dell'eccentrico creatore di Napster Sean Parker (Justin Timberlake) e finisce per distruggere per sempre il rapporto fraterno dei due fino a uno scontro in tribunale.
All'uscita in sala e persino prima della distribuzione molte testate o personaggi reali citati in The Social Network hanno aspramente criticato la mancanza di aderenza ai fatti reali ma contestare il film di Fincher con tali accuse dimostra solo una mancata visione dello stesso. La sceneggiatura arguta di Aaron Sorkin, esattamente come nel caso del successivo Steve Jobs, evita deliberatamente di porsi quale accurata ricostruzione degli eventi pubblici o privati ormai ben noti del personaggio che racconta ma tenta di carpirne il mistero interiore, l'insondabile abisso che si trova nella sua mente e con esso, attraverso un processo di sineddoche, mettere in scena la frammentarietà e impossibilità di racchiudere in categorie kantiane un presente sempre più liquido. Il Mark Zuckerberg ritratto dalla sua penna certamente affascina per le intuizioni geniali delle quali si mostra capace e la strafottenza con cui si fa beffe della potente famiglia Winlevoss ma al contempo appare incapace di aprirsi al mondo. Proprio colui che ha connesso ogni continente semplicemente attraverso un sito internet riesce soltanto ad allontanare le persone con le quali entra in contatto fisicamente, da Erica fino a Eduardo, ancora incredulo per come possa essere stato tradito così. Il protagonista appare sempre ambiguo: Fincher lo inquadra quasi sempre di tre quarti e con il viso solcato da una netta ombra obliqua che lo allontana anni luce dal tipo dell'eroe da classicismo hollywoodiano, programmaticamente buono dal punto di vista etico e inquadrato con primi piani frontali per aiutare lo spettatore a immedesimarsi nello stesso. Il creatore di Facebook risulta dunque maggiormente accostabile al fascino machiavellico di personaggi quali Hannibal Lecter o Dracula nella sua versione di Francis Ford Coppola, figure eticamente difficili da ammirare eppure capaci di entrare in un forte rapporto empatico con lo spettatore, il quale ne coglie contraddizioni e lotte interiori. In fondo lo stesso Fincher, sfruttando con sagacia il mezzo cinematografico per eccellenza, il montaggio, mette sempre in dubbio i reali sentimenti del giovane miliardario attraverso ellissi sempre efficaci rese poi evidenti dalla sequenza nella quale al protagonista viene fatto notare quanto sarebbe facile insinuare nella giuria di un eventuale processo tra Mark ed Eduardo come il primo potesse essere la mente dietro le diffamazioni riguardanti presunti abusi su animali del secondo e persino aver chiamato la polizia per cogliere sul fatto Sean Parker durante un festino a base di minorenni e cocaina.
Ancora una volta dunque il cinema del regista di Seven (1995) porta sullo schermo il dubbio, l'ambiguità morale della società americana focalizzandosi questa volta su una vera e propria deflagrazione del mito del sogno americano, del self-made man e della possibilità offerta dalla democrazia a stelle e strisce a ogni uomo volenteroso e capace di poter realizzarsi professionalmente e così vivere felice. Saverin e lo stesso Zuckerberg affermano più di una volta che questi non possiede un grande interesse per il tornaconto economico eppure sacrifica ogni affetto, la carriera universitaria e addirittura la propria immagine pubblica per poter realizzare qualcosa di grande, un progetto che possa renderlo famoso, rispettato e temuto. Un uomo in controllo, proprio come lo Steve Jobs dell'omonimo film di Boyle. Ecco dunque cosa diventa il sogno americano nell'era del web 2.0, della rivoluzione digitale e della condivisone con sconosciuti di ogni attimo della nostra vita privata, un inquietante delirio di affermazione della propria individualità a discapito di tutto e tutti, persino se stessi, come denuncia con raggelante efficacia la sequenza finale in cui il protagonista, rimasto solo nell'ufficio nel quali si sono svolti gli scontri legali con il suo ex migliore amico, invia dopo una breve esitazione una richiesta d'amicizia sul sito che ha creato alla sua ex ragazza, la stessa che gli aveva rimproverato di essere uno stronzo incapace di rapportarsi con la vita reale e che lo aveva deriso augurandogli buona fortuna con il suo videogioco (Mark l'aveva incontrata in un locale dopo i primi successi di The Facebook e tentando di scusarsi con lei le aveva raccontato con candido orgoglio i trionfi della sua creazione). Il film si conclude con l'inquadratura statica del giovane che osserva lo schermo del pc in attesa che la ragazza accetti la sua richiesta e il suono ossessivo del mouse che lascia intendere come questi aggiorni continuamente la pagina del browser.
David Fincher si conferma con The Social Network, anche grazie al grande lavoro in sede di sceneggiatura di Sorkin, tra i più abili cineasti nel raccontare le ossessioni del mondo contemporaneo.
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