Tra la seconda metà degli anni Ottanta e i Novanta, nel pieno dell'era dei blockbuster e agli albori della rivoluzione digitale, c'è stato un autore europeo che, dopo degli esordi fortemente sperimentali, ha tentato con successo di offrire un'alternativa alle produzioni americane giocando sullo stesso terreno, alla stregua di quanto accadeva decenni prima in Italia: Luc Besson. Nel terzo millennio la carriera del regista francese ha intrapreso una strada ben più tortuosa, costellata da tonfi rumorosi, così come da discreti successi e sorprendenti exploit positivi, tra i quali rientra certamente Dogman del 2023, esaltato dalla straordinaria interpretazione di Caleb Landry Jones. La coppia torna a lavorare insieme nel 2025 per Dracula - L'amore perduto (Dracula: A Love Tale), una produzione internazionale, nella quale rientra anche l'Italia, che racconta nuovamente il mito del vampiro per eccellenza a pochi mesi di distanza dal Nosferatu di Eggers. In attesa di una distribuzione ufficiale nel resto del mondo, il film, arrivato nelle sale nostrane poche settimane fa, sta raccogliendo pareri contrastanti, ma con buone cifre al botteghino.
Dopo un prologo ambientato nel XV secolo, durante il quale il principe valacco Vlad III (Caleb Laundry Jones) rinnega Dio in seguito alla perdita dell'amata Elisabeta (Zoe Bleu), la pellicola racconta l'incontro tra il vampiro e la reincarnazione della sua antica sposa, Mina Harker (Zoe Bleu), a Parigi, mentre la società civile gli dà la caccia, in particolare attraverso l'azione di un prete (Christoph Waltz) incaricato dal Vaticano di combattere i non-morti.
Fin dal succitato prologo Dracula - L'amore perduto non nasconde e, anzi, espone apertamente la propria filiazione dal Dracula di Bram Stoker (Bram Stoker's Dracula, 1992) diretto da Francis Ford Coppola, che però rilegge in chiave ben più esplicita nei sottotesti sociali e perfino narrativi secondo una visione cinematografica fieramente bessoniana. Il primo discrimine rispetto alla pellicola del 1992, che pure operava alcune integrazioni rispetto al romanzo d'origine e cambi di prospettiva legati a una sensibilità chiaramente differente rispetto a quella vittoriana, risiede nel punto di vista ostentatamente spostato verso la soggettività del vampiro. Dalla forte dialettica tra il dramma interiore di Vlad e la disperata lotta per liberare il mondo dal Male di Jonathan e Van Helsing, l'autore di Nikita (Luc Besson, 1990) sposta completamente il baricentro narratologico sul primo elemento, motivo per cui l'horror, seppur presente in sparuti momenti, cede il passo a un melò postmoderno, che mescola al proprio interno influenze provenienti dall'intera filmografia del cineasta transalpino e da colleghi non casualmente protagonisti della medesima stagione cinematografica in cui Besson è stato all'apice del successo di critica e pubblico.
La strisciante critica al perbenismo borghese, che solamente in superficie si ammanta di razionalità e altruismo per poi scadere nel più becero fanatismo, finanche religioso, quando la caccia al mostro viene perpetrata anche al rischio della vita di giovani innocenti, che caratterizza il romanzo di Stoker e, con ancor più veemenza, il capolavoro diretto da Coppola si declina nel lungometraggio in analisi in una caustica satira rivolta a tutti i personaggi che abitano la "civilissima" Parigi capitale della Belle Époque, tra i quali spicca un Jonathan Harker (Ewens Abid) totalmente inetto e caricaturale, che arriva persino ad attirare una certa simpatia nel conte proprio a causa di una caratterizzazione così naif da farlo somigliare alla versione del personaggio tratteggiata da Mel Brooks in Dracula morto e contento (Dracula: Dead and Loving It, 1995). La vena ironica, che non si limita al solo futuro marito di Mina, che peraltro sembra provare per l'uomo al massimo una sorta di umana pietas, crea un forte contrasto con il ritratto romanticamente sofferente di Dracula, in pieno stile Besson, non nuovo alla commedia sia nelle vesti di regista, sia di produttore con la sua EuropaCorp, con effetti talvolta brillanti (gli scambi di battute tra il protagonista e il suo rivale in amore, il sardonico sarcasmo del prete), in altri casi però fin troppo stridenti con la storia di un vampiro alla ricerca non solo dell'amore perduto, ma anche di una conclusione a una secolare esistenza segnata da dolore ed emarginazione, molto vicina all'interpretazione esistenziale di Werner Herzog (Nosferatu, il principe della notte, Nosferatu: Phantom der Nacht, 1979). Pur rappresentando un tratto caratteristico del cinema made in Besson, il pastiche di generi in questo caso depotenzia la carica emozionale del racconto, che avrebbe beneficiato di un approccio ugualmente sferzante e astorico ma meno altalenante, come nel magnifico Giovanna D'Arco (The Messenger: The Story of Joan of Arc, 1999).
Al netto delle citate criticità, il film brilla nella messinscena, specialmente nelle battaglie e in alcune sequenze di grande impatto visivo, come quella ambientata in un convento, e nella interpretazioni estremamente intense e, al contempo, divertite del cast, nel quale spiccano Jones e Matilda De Angelis, perfettamente a loro agio con i variegati toni richiesti dalla regia. Dracula - L'amore perduto, tirando le somme, riporta in sala una tipologia di settima arte fortemente spettacolare, emozionale e scanzonata al tempo stesso, che proviene direttamente e in maniera conclamata da quegli anni Novanta segnati proprio da Besson, Coppola e Tom Tykwer (citato a più riprese il suo Perfume: Sory of a Murderer del 2006). Una rivendicazione proveniente dal passato perfettamente coerente con la sofferta vicenda del conte vampiro, che chiede solamente di poter ardere un'ultima volta in compagnia della sua dolce metà.
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