sabato 12 luglio 2025

SUPERMAN: LA PERVERSIONE DELLA LEGGEREZZA

Siamo nel 2025, i fumetti non sono esattamente un medium in voga da almeno un paio di generazioni, neanche il cinema se la passa tanto meglio eppure Superman a quasi cento anni dalla sua nascita continua a vivere nella memoria collettiva e, dunque, risulta ridondante dover spiegare chi sia. La stessa idea è passata per la testa (giustamente) anche di James Gunn, tra i pochi nomi dell'attuale panorama hollywoodiano a sbagliare davvero di rado un colpo, ad attirare gli spettatori come o persino più di un divo davanti alla macchina da presa. Dopo essere salito alla ribalta all'interno del Marvel Cinematic Universe il cineasta statunitense è divenuto CEO di DC Studios, per il quale però non si limita a coordinare il più ampio progetto artistico crossmediale, al punto da scegliere di mettere sulle proprie spalle un onore e onere da far tremare i polsi, quello di scrivere e dirigere il reboot del primo supereroe. Ereditando il timone lasciato suo malgrado dall'amico di lunga data Zack Snyder, l'autore di Guardiani della Galassia (Guardians of the Galaxy, James Gunn, 2014) proprio in questi giorni porta nelle sale di tutto il mondo il suo Superman, che nel momento in cui vi scrivo sta riscontrando consensi quasi unanimi da parte della critica, mentre più divisiva appare la ricezione da parte del pubblico, com'è anche ormai prassi per una proprietà intellettuale così famosa e con un fandom tanto vasto, nel bene e purtroppo nel male.


Evitando di ripercorrere le origini del protagonista per l'ennesima volta, il film mostra Superman (David Corenswet) nel suo terzo anno di attività da eroe, alle prese però con le prime grandi difficoltà all'interno di essa, in particolare dopo una deludente sconfitta subita da Ultraman, un potente e misterioso metaumano comandato da Lex Luthor (Nicholas Hoult), intelligentissimo magnate della tecnologia che odia a morte il kryptoniano. Oltre alla suddetta disfatta fisica contro lo sgherro del villain, l'Uomo d'acciaio è costretto ad affrontare ulteriori difficoltà, in primis di tipo emotivo-psicologico, come i litigi a causa di diverse vedute con la compagna Lois Lane (Rachel Brosnahan), le accuse pubbliche di aver agito arbitrariamente in politica estera difendendo il paese del Jarhanpur dall'invasione della vicina Boravia, fino alla scoperta, ovviamente causata da una delle machiavelliche trame di Luthor, di una parte sconosciuta del messaggio lasciatogli dai suoi genitori biologici che lo esorta a conquistare la Terra.


Quando un creativo si approccia a un personaggio dall'evidente caratura mitologica come Superman le possibilità, così come le insidie sono infinite: molto è stato già detto, vista anche la moltitudine di media che hanno adattato il fumetto originale, ma al tempo stesso l'eroe permette a qualunque autore di poterlo maneggiare e plasmare a seconda della propria sensibilità, senza perdere l'essenza di ciò che lo rende riconoscibile. In virtù di questo Gunn opta per una lettura che non rinnega assolutamente il passato più o meno vicino dell'eroe, non soltanto per le citazioni dirette, come ad esempio il riarrangiamento dell'iconico tema musicale composto da John Williams nel 1978, ma anche per i tanti spunti tematici passati che continuano a risuonare nel mondo contemporaneo. Si pensi, tra le tante, alle implicazioni politiche delle azioni del protagonista, già affrontate decenni fa da Frank Miller su carta ma ancor di più da Snyder in Batman v Superman: Dawn of Justice (2016), dove, in maniera analoga, Superman viene accusato di non rispettare la legislazione nazionale e internazionale, tanto da venire posto dinanzi alla pubblica accusa alla stregua di un terrorista. Ciò non significa che la pellicola viva nel mash-up di un passato glorioso, anzi, in pieno rispetto dell'idea di cinema professata a più riprese da Gunn, la conoscenza di ciò che è stato diventa strumento per donare maggiore forza all'esplorazione di ciò che più appassiona l'autore, ossia l'umanità del kryptoniano. Spesso i detrattori del personaggio gli rinfacciano una monodimensionalità di caratterizzazione all'insegna di una bontà eccessiva (il famoso paragone con i boyscout), che lo rende poco credibile e affascinante. Il regista a tal proposito decide di partire proprio da questa bontà d'animo e mostrare al pubblico quanto il mondo attuale non solo necessiti di questo spirito in tutti noi, ma che in una società in cui tutti non aspettano altro che mostrare rancore e il proprio lato più meschino nei confronti del prossimo, specie sui social, l'altruismo esasperato, la fiducia incondizionata verso l'umanità, anche nei casi più estremi, rappresentano un atto di ribellione molto, molto punk (citando direttamente la sceneggiatura) a scapito della deriva cui ci sta portando questo modo di agire.


Il Superman di Gunn, dopo essere stato attratto per tutto l'incipit dalla sua parte aliena a discapito di quella umana, una volta tradito dai genitori biologici che aveva mitizzato abbraccia al 300% il versante terrestre della sua essenza, come evidenziato dal ritorno alle origini a Smallville o dalla sequenza conclusiva e, conseguentemente, anche l'enorme fragilità e le tante sconfitte subite da un personaggio teoricamente invincibile rientrano nell'idea di mettere in scena un eroe del popolo, un primo tra pari, riprendendo il concetto di princeps latino. In questo concetto però, a mio parere risiede una delle delusioni legate al lungometraggio. Per quanto la semplicità sia di per sé un valore nobile e degno di essere ostentato e difeso a oltranza, spesso nell'arte schematizzare sottrae il fascino dell'incertezza, della domanda sulla facile risposta, della riflessione a discapito della cieca accettazione. La scelta pienamente autoriale di privare l'eroe di Metropolis di quella dicotomia tra uomo e divino, alieno e americano annienta quella dimensione epica intrinseca di un profugo che viaggia attraverso le stelle per unire il meglio di due civiltà, di un messia venuto dallo spazio che sacrifica tutto di sé per il bene di coloro che lo hanno adottato, nonostante le differenze. Certamente anche l'abbandono dell'epica sembra rientrare scientemente nell'ideale di Gunn, rispettabile e anzi degna di ammirazione proprio in quanto lettura propria di un singolo autore del mito, ciononostante sarebbe miope negare quanto faccia male alla fruizione della pellicola il costante diniego del pathos in favore di siparietti comici discutibili e di un'estetica che molto spesso sembra voler confermare i peggiori pregiudizi all'insegna dell'infantilismo con cui i cultori delle distinzioni tra arte alta e arte bassa collocano il fumetto tra la spazzatura culturale. Tra i tanti sprazzi di ricercatezza formale, come nello splendido momento da videoclip che esalta le capacità di Mr. Terrific (Edi Gathegi) o nei campi lunghissimi dedicati al protagonista, spicca purtroppo anche una lacuna di personalità, per cui diventa difficile distinguere l'opera del cineasta nato a St. Louis rispetto a quello di molti altri colleghi attivi nel calderone dei blockbuster contemporanei. Un saliscendi suffragato da tantissimi altri elementi, dalla magica sequenza del bacio tra Clark e Lois a pessimo costume indossato dal supereroe, da un Lex Luthor che riecheggia perfettamente certi leader mondiali e come stiano ingurgitando le risorse di tutti per lisciare il proprio ego passando però attraverso reiterate battute che potrebbero essere utilizzate per spiegare alla perfezione alla generazione Boomer il significato del termine cringe.

Superman, in conclusione, rappresenta un'incoraggiante inizio per il nuovo corso DC, oltre a una visione tanto divertente quanto intelligente anche singolarmente, eppure resta l'amaro in bocca per uno studente che spesso si perde in un bicchiere d'acqua o in quella che Sorrentino definiva perversione della leggerezza in Youth (2015), perché onestamente non se ne può più nel 2025 di un'idea innocua e ridicola del cinecomic, quando Nolan, Reeves, Phillips, Snyder e Gunn stesso in altre occasioni ci hanno dimostrato la vasta gamma di possibilità espressive offerte dal filone. Se un bambino dinanzi ai fucili degli oppressori del proprio paese mostra una bandiera con la S è perché l'Uomo d'acciaio rappresenta degli ideali, delle speranze e un immaginario emotivo che va ben oltre delle sciocche mutande rosse su una tuta da forzuto del circo di inizio Novecento, per cui James smettiamo di dare ragione ai conservatori della critica cinematografica e non solo. Grazie.