lunedì 10 aprile 2017

TRAIN TO BUSAN: L'ALBA DEI MORTI VIVENTI COREANI

Reduce da una carriera da regista e sceneggiatore esclusivamente nell'animazione il sud coreano Yeon Sang-ho presenta durante l'edizione 2016 del Festival di Cannes il suo primo lavoro live-action, lo zombie movie Train to Busan. Il lungometraggio si è rivelato un successo strepitoso di pubblico in patria e in numerosi paesi asiatici, oltre ad aver convinto la maggioranza della critica, sia orientale che occidentale, nonostante negli ultimi anni il motivo degli zombie sia stato affrontato in centinaia di film, serie tv, videogame e qualunque altro media al punto da rendere quasi superfluo qualsiasi nuovo tentativo.

Protagonisti assoluti della pellicola diretta dall'autore di The King of Pigs (2011) sono Seok-woo, un egoista broker tutto dedito al proprio lavoro, e sua figlia Soo-an, con la quale ha un rapporto estremamente difficile a causa del suo assenteismo reiterato. L'uomo promette alla piccola, per il suo compleanno, di riportarla a Busan dalla madre e quindi partono per la città in questione in treno. Quello che sembra essere un normale viaggio di qualche ora come tanti si rivela invece una vera e propria discesa negli inferi: a bordo sale una ragazza che si rivela essere infetta da uno strano virus capace di trasformare gli esseri umani in aggressive bestie antropofaghe semplicemente attraverso il morso. La giovane infetta mordendo diventa l'innesco del morbo sul treno, che in breve vede tramutare in queste creature la maggior parte dei passeggeri e del personale a bordo. Soltanto i due protagonisti e una manciata di altre persone, tra cui spiccano il gigante di buon cuore Sang-hwa con la consorte in dolce attesa, un giovane giocatore di baseball con la fidanzata, un barbone, due anziane sorelle e un meschino uomo d'affari.

A causa dell'esplosione del fenomeno zombie di cui ho accennato in precedenza poter apportare un contributo di rilievo a tale sottogenere dell'horror diventa un obbiettivo estremamente arduo, ancora di più per un cineasta coreano, vista la scarsa dimestichezza del cinema dell'orrore asiatico con questo tipo di creature, per di più alla prima esperienza con il live-action. Nonostante tutte queste incognite di non poco conto Yeon Sang-ho dimostra per prima cosa di conoscere bene le proprie fonti, le basi da cui non può prescindere per questo lavoro, come dimostrano le enormi capacità atletiche degli infetti, riprese da 28 giorni dopo (Danny Boyle, 2002), o la scelta di rinchiudere personaggi umani di diversa estrazione sociale in un luogo claustrofobico che richiama la La notte dei morti viventi (1968) e Zombi (1978), entrambi diretti da George A. Romero. Dunque quello a cui assiste il pubblico è semplicemente un pastiche di tutta la filmografia dedicata a tali creature? Non a mio avviso. La grande intelligenza dell'autore di The Fake (2013) si dimostra nel momento in cui rielabora attraverso la propria sensibilità e la propria poetica tutta l'esperienza precedente nel genere. La spietata critica sociale al centro dei lavori del già citato Romero viene decostruita e adattata alla società coreana odierna, ossessionata dal successo personale e irrigidita in una scala piramidale nella quale i più forti (o meglio i più ricchi) sono tenuti a schiacciare i deboli su cui basano il proprio prestigio. In questo modo il treno, il mezzo di trasporto che quasi mai può deviare da un dato percorso prestabilito, diventa metafora del paese d'origine del regista e i sopravvissuti alla prima ondata del virus assumono il ruolo di simboli dei vari gradini della piramide, in cima alla quale si trovano proprio Seok-woo e il manager Yon-suk. Ecco però che nuovamente l'autore devia dal solco tracciato dai suoi predecessori; i personaggi infatti non si limitano ad assurgere alla funzione di simulacri, bensì riescono a rivelare la propria umanità a tutto tondo, come dimostra soprattutto il broker protagonista, il quale emerge alla fine della propria discesa negli inferi come una persona completamente diversa da quella di partenza, un novello Enea che impara ad aiutare il prossimo disinteressatamente e che recupera il rispetto e l'amore della figlia. All'opposto il cinico ed egoista uomo d'affari che ostacola in tutti i modi possibili gli altri superstiti finisce per restare l'unico carattere piatto, limitato a mostrarsi portatore solamente dell'istinto di sopravvivenza in quanto foriero in tutto e per tutto delle istanze disumane della società sudcoreana.

A supporto di una rievocazione del mito di Enea da parte di Yeon Sang-ho vi sono numerose sequenze e scelte visive, alcune quasi letterali, come le costanti fughe dei personaggi in coppie che rievocano direttamente quella dell'eroe troiano con il giovane figlio Ascanio, mentre altre maggiormente sfumate. Tra queste ultime identifico l'espediente della cecità al buio degli zombie, una trovata che permette da un punto di vista narrativo di dare maggiori speranze di salvezza ai poveri protagonisti ma che allo stesso tempo giustifica una serie di sequenze completamente prive di luce che evocano la visione antica degli inferi, un luogo oscuro e popolato da essere che ormai di umano non possiedono altro che il passato, proprio come gli infetti.
In conclusione Train to Busan si rivela, specie per gli appassionati di cinema di genere, una gradita sorpresa in mezzo allo sterminato universo di prodotti dedicati ai morti viventi, ben conscio dei pilastri del passato ma capace di rileggerli in chiave personale e, cosa non da poco, limitando al minimo gli elementi splatter in favore di riflessioni socio-politiche e persino momenti di alto impatto emotivo. In parole povere, un'esperienza assolutamente consigliata.

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