sabato 29 giugno 2024

THANKSGIVING: BACK TO THE 80S

Sarebbe interessante analizzare a livello saggistico la nostalgia cinematografica e tutte le ondate di registi, sceneggiatori, critici e fandom che nel corso delle decadi hanno portato riportato in auge un modo di intendere la settima arte precedente, talvolta con revival che aggiornano il passato, altre con veri e propri omaggi così filologici da rischiare di perdere qualunque presa sui fruitori meno attempati. Eli Roth fin dagli albori del terzo millennio vive costantemente in bilico tra queste prassi, alternando sintesi tra ciò che fu e ciò che è (Cabin Fever, 2002) e oggetti nati dalla pura reverenza verso le proprie fonti di ispirazione (The Green Inferno, 2013). Anche solamente da questo punto di vista risulta particolarmente interessante Thanksgiving, nato come uno dei fake trailer distribuiti insieme al dittico Grindhouse (Quentin Tarantino, Robert Rodriguez, 2007) per poi diventare un lungometraggio solamente nel 2023. Quindici anni circa di distanza che si sentono eccome, nella più positiva delle accezioni, dato che la pellicola ottiene un buon risultato al box office e recensioni estremamente positive, tanto da permettere la messa in cantiere persino di un sequel.


Il film, dopo un prologo in cui la cittadina Plymouth viene sconvolta da un incredibile incidente al centro commerciale locale durante l'annuale Black Friday, nel quale perdono la vita molte persone, segue le conseguenze dell'avvenimento per il gruppo di adolescenti guidato da Jessica (Nell Verlaque), che diventa vittima delle attenzioni sempre più violente di un killer mascherato da John Carver, che accusa i ragazzi di essere la causa di quella strage e di averne lucrato con un video virale che riprendeva lo stesso.


Fin dal titolo Thanksgiving tradisce l'intento di omaggiare quel filone di slasher proliferati tra il 1978 e il 1982 che, nel tentativo di salire sul carro degli incassi di Halloween - La notte delle streghe (Halloween, John Carpenter, 1978), aveva portato sullo schermo killer mascherati pronti a massacrare teenager durante una delle più iconiche festività americane. E non manca nessuno dei topoi di suddetto filone: omicidi truculenti basati perlopiù su armi da taglio, la final girl che corrisponde alla più coscienziosa dei protagonisti, la morte dei ragazzi più promiscui ecc. Proprio per questo evidente rapporto con il passato del genere e l'origine dal progetto Grindhouse sarebbe stato previdibile l'utilizzo da parte di Roth di quell'estetica da finto b-movie con cui era girato il trailer e invece l'autore di Hostel (2005) opta per un'estetica pienamente contemporanea, persino quando cita esplicitamente capisaldi dell'horror anni Settanta come Romero. L'incipit, difatti, oltre a fornire quel trauma passato che forma il tipico movente al killer dello slasher, riprende la metafora romeriana dei consumatori della società capitalistica visti come zombie assetati di sangue che assaltano un centro commerciale e quale occasione risulta più emblematica di questo horro vacui se non l'americanissimo Black Friday, dove la vigilia del Ringraziamento assume connotati puramente materialistici e, per l'appunto, consumistici. Il tutto viene ripreso però con un ritmo del montaggio e una pulizia dell'immagine, quasi sempre con inquadrature con profondità di campo massima, agli opposti dell'estetica quasi documentaristica di Zombi (Dawn of the Dead, George Romero, 1978) e l'introduzione di tematiche che, per ovvi motivi cronologici, erano totalmente assenti, quali l'incidenza dei social media nella vita reale delle persone e la sfrenata fame di immagini violente. Thanksgiving vive nasce dunque nel solco della parte più citazionista della filmografia di Roth per poi spostarsi, una volta divenuto lungometraggio a tutti gli effetti, nella sezione maggiormente di raccordo con la contemporaneità, tanto da non poter non notare anche i punti di contatto con slasher recenti, tra cui in particolare la serie tv Scream (Jill Blotevogel, Dan Dworkin, Jay Beattie, 2015-2019) e Auguri per la tua morte (Happy Death Day, Christopher Landon, 2017), con i quali condivide la preminenza sia estetica che tematica della rivoluzione digitale, ma anche la componente ironica ben più marcata rispetto a quanto accadeva nei primi emuli del capolavoro carpenteriano sopracitato, che caso mai risultavano spesso involontariamente comici finendo nel calderone del camp, secondo la definizione di Susan Sontag.  Di questi però il regista americano non tradisce il ricorso a effetti speciali totalmente analogici e il gusto per l'uccisione dal gore estremo e sempre più creativa, secondo una strategia narrativa e formale discendente da quel giallo all'italiana che più volte è stato considerato il padre putativo dello slasher, dove il convulso intreccio spesso fungeva soprattutto da recitativo propedeutico a legare le arie operistiche costituite appunto dagli elaboratissimi, anche a livello di inquadrature, rapporto tra immagini e musiche ecc., omicidi. L'ironia così marcata e in alcuni casi persino grossolana di matrice contemporanea però, a mio avviso, insieme a una forma molto competente ma poco personale, risulta il vero limite della pellicola, poiché trovo ormai piuttosto stucchevole l'idea presente in qualunque genere che non si possa prendere di petto il racconto senza doverlo zuccherare con una distanza critica da postmodernismo 2.0: le risate sono sempre ben accolte e in tempi così travagliati fanno sicuramente bene all'umore di tutti ma con questo spirito avremmo mai avuto un Nightmare - Dal profondo della notte (A Nightmare on Elm Street, Wes Craven, 1984) o anche un meno "vetusto" It Follows (David Robert Mitchell, 2014)?



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