martedì 24 ottobre 2017

IT: IL BILDUNGSROMAN AI TEMPI DELL'HORROR CONTEMPORANEO

Se esiste una parola davvero pericolosa e malvista negli ultimi anni questa è sicuramente "remake". Questa pratica, antica sostanzialmente quanto l'arte e la rappresentazione di sé, ha accompagnato tutto lo sviluppo del cinema mondiale, sia americano che europeo o asiatico, eppure a partire dal terzo millennio è diventata sinonimo di becera operazione commerciale, riciclo senza alcuna qualità e sintomo della presunta mancanza di idee attuale. Certamente i rifacimenti di pellicole precedenti non sono mancati a Hollywood da qualche anno a questa parte, solo che in realtà questa tendenza non costituisce né una novità e né un qualcosa di negativo a prescindere, come dimostrano i moltissimi capolavori che si rifanno a opere precedenti (The Thing diretto da John Carpenter nel 1982 basti come esempio). Un preambolo piccolo ma doveroso per rendere l'idea del clima nel quale è stato girato ed è arrivato nelle sale quest'anno It, secondo lungometraggio di Andy (o Andrès) Muschietti e adattamento di uno dei romanzi più celebri di Stephen King. Se già portare sullo schermo un'opera letteraria di grande fama porta inevitabilmente al confronto spietato da parte dei fan con il materiale originario in questo caso si aggiunge anche la schiera di nostalgici nei confronti della famosissima miniserie televisiva omonima andata in onda nel 1990, il cui fantasma purtroppo è finito per aleggiare sull'obbiettività nei giudizi sul film in analisi. Nonostante tante spade di Damocle alla fine il regista argentino è stato premiato da recensioni più che positive in tutto il mondo e soprattutto da incassi record, tali da renderlo il maggiore successo horror della storia al botteghino.

Per i pochi ormai che non avessero letto il capolavoro di King o visto i due episodi tv i protagonisti delle vicende narrate sono un gruppo di preadolescenti di una cittadina del Maine, tra i quali spicca soprattutto Bill a causa della perdita del fratellino minore Georgie. Il gruppo di amici, autodefinitisi "club dei perdenti" a causa delle persecuzioni da parte dei bulli di paese e dei loro difficili rapporti con gli altri, scoprirà suo malgrado che dietro la scia di morte che sconvolge ogni 27 anni la comunità in cui vivono è una creatura che si mostra loro quasi specialmente con le sembianze di Pennywise, un terrificante clown.

Il primo topic da chiarire immediatamente è che fare comparazioni tra le tre versioni delle disavventure dei perdenti è un'operazione inutile e svilente per il lavoro di tutti gli autori chiamati in causa: se è evidente che cinema e letteratura sono forme di espressione completamente diverse ebbene questo vale anche nei confronti del mezzo televisivo, il quale segue regole formali, tecnologiche e narrative in parte simili ma in gran parte divergenti dalla settima arte. Per questo è anche piuttosto controverso, se non improprio, definire questo It un remake e se anche lo fosse la sua natura di rifacimento non costituirebbe nessuna sorta di zavorra che ne affossa qualsivoglia velleità qualitativa.

Chiusa la piccola parentesi sulla spinosa questione "remake sì o no? Non importa" ciò che emerge immediatamente dalla prima visione è la scelta coraggiosa e coerente con la propria opera precedente, lo splendido La madre del 2013, di optare per un approccio ibrido, memore della lezione del cinema di genere, soprattutto gli stilemi degli horror diretti da James Wan e Scott Derrickson, ma capace di superare le sue barriere per aprirsi verso il romanzo di formazione e uno stile maggiormente europeo. Una mescolanza che risulta vincente a 360 gradi, poiché rende l'adattamento molto vicino alla poetica del romanziere del Maine (bisogna pur accontentare un po' gli oltranzisti della fedeltà a tutti costi) e soprattutto utilizza il meglio dell'orrore attuale da un punto di vista formale (l'importanza del sound design, la valorizzazione degli spazi chiusi e claustrofobici, l'uso della profondità di campo per spaventare ecc.) per conferire fisicità ai traumi che i ragazzi devono affrontare per poter crescere. L'horror assume il ruolo di veicolo attraverso il quale raccontare una delle fasi più delicate della vita umana, il congedo dall'infanzia, e diventa metafora, come accade in tutti i migliori prodotti di questo singolare genere. Sarebbe però poco conforme all'esperienza di tutti i giorni mostrare solo il male e il dolore che tutti noi affrontiamo durante la crescita; vorrebbe dire negare anche quei momenti, spesso anche piccoli in fondo, di spensieratezza e di ingenua gioia legata ai primi amori, le amicizie che sembrano non dover terminare mai e quelle avventure che restano impresse per sempre nella memoria. Per raccontare anche questo lato della prima adolescenza il cineasta argentino sceglie saggiamente il registro della commedia indipendente americana, inserito senza mai cozzare con i momenti più truculenti o di suspense e aiutato anche dalle interpretazioni estremamente empatiche del giovane cast.

Spicca infine proprio il gusto visivo di Muschietti, il quale conferma la propria capacità nel creare inquadrature fortemente pittoriche sia con gli interni che in esterni e si permette addirittura momenti di grande virtuosismo con la cinepresa, come nella magnifica sequenza del bagno insanguinato a casa di Beverly o con la soggettiva impossibile (oppure no?) dell'inquietante figura femminile del ritratto in stile Modigliani che tormenta Stan.

In conclusione It conferma in pieno il talento del proprio autore e non solo non vive di luce riflessa rispetto alle proprie fonti, bensì si dimostra un indimenticabile Bildungsroman e un altrettanto spaventoso horror contemporaneo, agrodolce e metaforico.

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