giovedì 12 gennaio 2017

MARVEL'S DAREDEVIL: IL DIAVOLO CUSTODE PIÙ CINEMATOGRAFICO DELLA TV


A distanza di più di dieci anni (per l'esattezza dodici) dal tutt'altro che memorabile omonimo lungometraggio diretto da Mark Steven Johnson nel 2003 con protagonista un fin troppo sprecato Ben Affleck, il personaggio di Daredevil si aggrega al Marvel Cinematic Universe ma non attraverso una nuova avventura in sala, bensì con un serial a lui dedicato, messo in onda in streaming attraverso la piattaforma on demand Netflix e intitolato Marvel's Daredevil. Creator della serie è lo sceneggiatore Drew Goddard, noto per gli script di pellicole come Cloverfield (Matt Reeves, 2008) e The Martian (Ridley Scott, 2015) ma anche per aver diretto l'horror postmoderno Quella casa nel bosco (The Cabin in the Woods, 2012), un indizio forte della direzione poco televisiva e maggiormente vicina alla settima arte che analizzerò a breve. Nel momento in cui scrivo sono state prodotte due stagioni da tredici episodi l'una di durata variabile (tra i 48 e i 61 minuti), entrambe accolte dal plauso di critica e fan del fumetto d'origine oltre che da un notevole successo dal punto di vista delle visualizzazioni, tanto da aver permesso il lancio a breve di uno spin off dedicato al tormentato giustiziere The Punisher.

Mai come nella serialità televisiva dilungarsi sulla trama risulta controproducente, visto che gran parte del suo seguito viene raggiunto attraverso la capacità di catturare la curiosità del pubblico su ciò che verrà, quindi mi limito a fornirvi piccole informazioni prive il più possibile di spoiler. Protagonista assoluto è il giovane avvocato cieco da quando aveva nove anni Matt Murdock (un Charlie Cox che riesce a non far rimpiangere Affleck), il quale di giorni difende gli innocenti attraverso la legge con l'aiuto del suo migliore amico e socio Foggy Nelson e la loro segretaria Karen Page, mentre di  notte combatte da giustiziere mascherato arrivando dove il diritto sembra non avere abbastanza potere.
La domanda che potrebbe sorgervi spontanea è certamente legata al motivo che mi ha spinto ad analizzare nel mio blog dedicato al cinema un prodotto di serialità televisiva. La riposta è ben radicata nel contesto multimediale in cui oggi siamo immersi, lo stesso che porta qualsiasi forma d'arte a processi di rilocazione e rimediazione che rendono estremamente labili certi confini che fino a qualche anno fa sembravano muraglie invalicabili. Marvel's Daredevil è un esempio lampante di questa situazione: è un serial ma non va in onda su un normale canale televisivo, bensì in streaming on demand attraverso la rete; fa parte di un universo cinematografico condiviso, una creazione che di per sé è già ai limiti di due diversi media (cinema e tv), in cui spesso vengono sfruttati elementi formali e narrativi tipici della serialità da piccolo schermo e che trae le proprie storie da una terza forma d'arte, il fumetto; infine si pensi allo stile visivo della serie in analisi, che risulta estremamente figlio della settima arte in tutti i suoi caratteri.

Ora che ho "giustificato" la mia scelta è giunto il momento dell'analisi vera e propria. Ciò che salta subito all'occhio fin dall'episodio pilota della serie è il sostanziale cambio di rotta dal punto di vista delle atmosfere e dei toni rispetto all'MCU, dato che le avventure del diavolo di Hell's Kitchen si svolgono soprattutto di notte, tra strade ed edifici malfamati, sporchi e coinvolgono persone che sono ben radicate nella realtà attuale: i delinquenti e i bosso affrontati da Murdock non sono alieni dai poteri sovrannaturali o geni del male che bramano la conquista del mondo intero, sono semplicemente i burattinai senza scrupoli che tirano i fili del malaffare in cui viviamo tutti noi (in Italia forse ancor più che negli Stati Uniti messi in scena). Certo ci sono alcune doverose concessioni al fumettistisco, come i sensi sviluppati oltre la normale soglia umana del protagonista o l'invulnerabilità di Frank Castle/The Punisher, ma tutto diventa plausibile all'interno della cornice da vero e proprio neo noir nel quali si dipanano gli episodi. Persino il caratteristico humour delle produzioni Marvel targate Disney diviene più agrodolce, anzi spesso risulta essere una forma di difesa nei confronti della spietata realtà del quartiere newyorchese in cui si svolgono le vicende. Alla cura per la scenografia e la fotografia si aggiunge una regia che quasi mai rimanda alla semplicità del classico stile televisivo, tanto che basterebbe visionare le spettacolari sequenze di combattimento per pensare di trovarsi di fronte a una pellicola di genere ad alto budget, e che addirittura si permette vezzi di grandissima qualità estetica, come il meraviglioso piano sequenza del secondo episodio in cui Matt combatte un gruppo di russi per salvare un bambino rapito ambientato in un corridoio che non può non richiamare la sequenza più celebre di Old Boy (Park Chan-wook, 2003).

Di pari passo rispetto alle qualità visive del prodotto Marvel risulta anche il lato narrativo e la caratterizzazione dei personaggi, in particolare la psicologia del protagonista affascina e non può non portare a profonde riflessioni sul suo rapporto con la fede, il rapporto con il padre pugile e i dubbi che si fanno sempre più incessanti sulla reale caratura morale del proprio operato; temi che, insieme alla cura per le coreografie delle battaglie e all'oscurità delle atmosfere, richiamano le prime due stagioni del capostipite dell'universo televisivo dell'eterna rivale Dc Comics, ossia Arrow (Greg Berlanti, Marc Guggenheim, Andrew Kreisberg; 2012-). Perfino molti sbocchi narrativi hanno molto in comune con la serie dedicata al giustiziere armato di arco e freccia e una menzione speciale la merita il villain della prima stagione: il Wilson Fisk interpretato con la consueta sensibilità da Vincent D'Onofrio è tutt'altro che un macchiettistico boss della malavita come quello visto nel film del 2003, possiede un background psicologico e sentimentale ben approfondito e mai banale, che lo porta a essere un uomo tanto spietato quanto capace di provare una sincera amicizia verso il suo assistente Wesley e un amore che passa da un estremo all'altro per una curatrice di un museo. Una sorta di sintesi tra i Malcolm Merlyn e Slade Wilson impreziosita da una ricostruzione maggiormente sottile ottenuta soprattutto grazie al suo interprete.
In conclusione Marvel's Daredevil si rivela un'opera di elevato spessore per un pubblico molto vasto e composito, poiché può essere apprezzato dagli appassionati di cinema così come da quelli di serial televisivi o di comics americani, qualità che la rende a mio modesto parere una pietra miliare della rimediazione di cui vive l'arte contemporanea.


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