lunedì 25 novembre 2024

IL GLADIATORE II: ROMA DECADENCE

Stavo per esordire con una constatazione sulla divisività legata al nome Ridley Scott, ma riflettendo su quante volte abbia dovuto evidenziare quest'aspetto per registi sempre diversi mi rendo conto che ormai tutto e tutti sono divisivi, solamente qualcuno più di altri. Scott, dopo aver convinto proprio tutti, almeno a distanza di anni, con Alien (1979) e Blade Runner (1982), torna all'apice del panorama hollywoodiano con Il gladiatore (Gladiator, 2000), campione di incassi e pluripremiato, eppur criticato sia allora, sia oggi per le fantomatiche inesattezze storiche figlie di chi non ha capito come funziona il peplum e il cinema di fiction tout court. Per mantenere alta la soglia delle battaglie dialettiche tra ammiratori e detrattori, così come ovviamente per provare a replicare l'incredibile successo appena citato, il cineasta britannico realizza nel 2024 Il gladiatore II (Gladiator II), requel alla maniera degli studios attuali che ottiene buoni riscontri dalla critica, mentre i numeri al botteghino al momento sembrano più tiepidi, specie considerando l'astronomico budget profuso per la realizzazione.


A circa venti anni dalla morte di Massimo (Russell Crowe) e Commodo (Joaquin Phoenix) nel predecessore, il film si concentra sul ritorno a Roma, come prigioniero di guerra prima e gladiatore poi, di Annone (Paul Mescal), il cui nebuloso passato lo lega agli intrighi di potere della Urbs, che vedono scontrarsi da un lato i due imperatori gemelli Geta (Joseph Quinn) e Caracalla (Fred Hechinger), dall'altro Augusta Lucilla (Connie Nielsen) e suo marito, il generale Marco Acacio (Pedro Pascal). Tra i contendenti tenta di inserirsi un outsider, il commerciante di gladiatori Macrino (Denzel Washington), sfruttando proprio il protagonista e la sua sete di vendetta nei confronti di Acacio, responsabile della morte della consorte in Numidia.


Per quanto possa sembrare complessa, quantomeno per l'accumulo di situazioni e personaggi, anche solo da questa breve sinossi la narrazione, de facto Il gladiatore II rispetta in pieno le caratteristiche del requel o legacy sequel, replicando gran parte del cammino messo in atto dal capitolo precedente, aggiungendo ai protagonisti dell'epoca dei nuovi, in bilico costante tra remake e serializzazione. Questo rende anche l'idea di quanto a Scott importi solo superficialmente del percorso di formazione e redenzione di Annone o di renderlo un nuovo e iconico membro di quel gruppo di figure cult della settima arte. Il vero focus della pellicola risiede altrove, motivo per cui la vera protagonista è Roma, riflesso speculare di quell'Occidente odierno, simboleggiato da New York e Stati Uniti. D'altronde il mondo antico, almeno quello europeo, possedeva un centro di gravità permanente ben preciso, che ne racchiudeva luci e ombre, vizi e virtù, coordinate etiche, politiche e sociali. Se nel primo capitolo la città eterna viene costantemente irradiata di una luce quasi divina, persino nei momenti più truculenti e drammatici dell'epopea di Massimo, come ad esempio durante lo scontro finale contro Commodo, quella dipinta a distanza di quasi venti anni dal regista inglese appare fosca, crepuscolare e particolarmente decadente, come si può evincere anche solo dalle masse di lebbrosi alle sue porte o dai mendicanti che assaltano qualunque carro o biga giri per le strade della prima metropoli del Vecchio continente. La differenza nasce dall'involuzione subita da essa nel corso di questo lasso temporale, espressa anche dall'insistenza con cui durante il lungometraggio si fa riferimento al sogno coltivato dall'imperatore e filosofo Marco Aurelio: allora Roma veniva ritratta ancora come quel bagliore di civiltà e promesse possibili, ingabbiata, ostaggio però di un potere corrotto e personalistico, reificato in egual misura dal succitato Commodo ma anche da senatori infidi e doppiogiochisti. D'altro canto la sua versione successiva è ormai completamente o quasi inquinata da questo morbo socio-politico, una lontana ombra di un passato glorioso in cui dilagano corruzione e brama di potere, in cui chiunque, con il giusto mix di astuzia e forza bruta, alla maniera del principe ideale di Machiavelli, può assoggettare alla propria volontà un impero sconfinato. Ecco dunque che la vita politica si riduce a uno scontro tra individui ambiziosi e assetati di potere, tra i quali spicca naturalmente il luciferino Macrino, che, grazie anche alla performance da gangster di Denzel Washington, somiglia davvero tanto a quegli squali della finanza post-capitalista che, dopo aver indirettamente tirato le fila delle decisioni amministrative attraverso l'arma dell'economia di mercato selvaggia, arrivano sempre più spesso a impegnarsi in prima persona nell'arena (il Colosseo?) del confronto democratico, ormai molto più simile a quella oclocrazia descritta da Polibio proprio a quell'altezza cronologica.


Niente di nuovo sotto il sole? Il cinema, come qualunque forma di espressione artistica, privilegia il come rispetto al cosa e Scott da questo punto di vista offre una visione tanto potente quanto funzionale alla parabola politica messa in scena. Alla magniloquenza vicina a David Lean e ai grandi roadshow a cavallo tra anni Cinquanta e Sessanta  del capostipite, il film in analisi sceglie una via quanto mai barocca, tracotante e gargantuesca nell'esasperazione degli aspetti più grotteschi della Roma tardoantica. In un turbinio di animali esotici, tumulti popolari, influenze orientali sempre più ostentate, spettacoli all'insegna dell'eccesso, contro l'ideale equilibrio alla base della bellezza classica, l'autore di Thelma & Louise (Ridley Scott, 1991) dà libero sfogo al proprio talento visivo di matrice pittorica, facendo riferimento soprattutto a un immaginario dai contorni decadenti (da Caravaggio a Gericault) per sottolineare la connivenza tra trash nell'enterteinment e nell'arte in genere e trash interiore nei periodi di forte crisi, esattamente come accade nel nostro presente storico. Persino le citazioni provenienti da autori quali Cicerone e Virgilio rispecchiano una volontà di ritrarre le brutture di quell'impero e, di conseguenza, di quello che, seppur zoppicante, regola ancora i destini dell'Occidente attuale e non solo. O tempora, o mores affermava il celebre oratore a proposito del nemico Catilina, accostato a tutta una serie di cambiamenti in negativo dei costumi che però, al di là di un certo paternalismo tipico delle generazioni anziane verso quelle giovani, sintetizza al meglio il mondo ritratto da Scott. Un'imperfetta e bislacca mescita in cui spiccano solamente predatori e squali, spesso brutti e ridicoli proprio come quelli realizzati con una cgi obiettivamente cringe ma poeticamente adeguata.

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