Se Robert Louis Stevenson fosse vissuto oggi avrebbe sicuramente riconosciuto in Steven Soderbergh una perfetta incarnazione del suo celeberrimo dottor Jekyll, almeno cinematograficamente. Qualunque cineasta operante all'interno del sistema produttivo hollywoodiano deve, necessariamente, fare i conti con il difficile equilibrio tra l'espressione più pura della propria personalità e i paletti imposti dall'apparato economico che ne finanzia il lavoro. Molti finiscono per mettere completamente in secondo piano qualunque velleità stilistica o poetica, pochi riescono a imporre il proprio marchio alla produzione (si pensi a figure come Christopher Nolan o David Fincher) ma è quasi unico il caso di un autore che alterna da una trentina d'anni film smaccatamente commerciali (senza alcuna accezione negativa, si badi bene) ad altri più piccoli in termini di costi di produzione e ben più sperimentali. Forse proprio a causa di un percorso così singolare oggi Soderbergh non è più un nome capace di sbancare il box office come tra anni Novanta e primi vagiti del Duemila, ciononostante continua a regalare pellicole di notevole interesse in entrambi i settori della sua filmografia, dalla quale ho pescato oggi Unsane. Girato nell'arco di un paio di settimane, in totale segreto, il lungometraggio rientra senza dubbio tra quelli più indipendenti e personali del regista americano, pur avendo ricevuto, oltre a ottime recensione, un'accoglienza tutt'altro che negativa al botteghino, dove ha incassato quasi quindici milioni di dollari a fronte di uno solo speso per girarlo.
L'opera in analisi segue il difficile tentativo di ritorno a una vita normale da parte di Sawyer (Claire Foy), donna in carriera perseguitata in passato da uno stalker sempre più insistente. Nonostante gli incoraggianti risultati lavorativi raggiunti, la protagonista fatica ad instaurare rapporti interpersonali e sente di non essersi ancora del tutto ripresa dai suoi dolorosi trascorsi, così si rivolge a una terapista che, in maniera piuttosto ingannevole, la convince a firmare un documento di ricovero spontaneo di almeno ventiquattro ore all'interno della clinica in cui lavora. Con la legge che le volta le spalle, Sawyer si ritrova suo malgrado a dover sopportare una detenzione ancora più lunga, resa insopportabile dalla presenza tra gli inservienti proprio di David Strine (Joshua Leonard), il suo persecutore.
Come già avvenuto in numerose opere precedenti, Soderbergh torna ancora una volta a raccontare il complesso rapporto tra la società americana e la donna, mettendo quest'ultima e il suo percorso psicologico/emotivo al centro. Compiendo una sorta di sintesi tra la dimensione prettamente socio-politica di Erin Brokovich (2000) e quella maggiormente intima di The Girlfriend Experience (2009), Unsane si dipana attraverso due binari principali che si intrecciano nel corso del racconto: dal canale primario, dedicato all'angosciante thriller psicologico che vede Sawyer internata, contro la sua volontà, proprio insieme allo stalker che le ha rovinato la vita, si dipana un secondo filone narrativo, più legato al cinema d'inchiesta, incentrato sulla denuncia del diffuso sistema delle truffe organizzate dalle cliniche psichiatriche sovvenzionate dalle assicurazione sanitarie. Con grande abilità, il regista riesce non soltanto a evitare che il film offra la sensazione di essere un assemblaggio di due prodotti in uno, ma utilizza il fortissimo attacco a uno degli aspetti maggiormente disumani del sistema sanitario americano come un ulteriore strumento per amplificare il senso di oppressione trasmesso dal suo thriller.
Allo stesso modo l'autore di Sesso, bugie e videotape (Sex, Lies and Videotape, 1989) unisce le esigenze narrative alle tecniche di ripresa. Il ricorso a uno smartphone al posto della usuale cinepresa professionale non è un semplice vezzo o stratagemma per ridurre i costi di produzione, bensì una precisa scelta estetica e poetica. Se dovessi riassumere in un unico simbolo l'attuale condizione di convergenza tra le arti visive e tutte le nuove tecnologie digitali di riproduzione di immagini questi sarebbe sicuramente l'Iphone, il cellulare che ha creato lo status symbol dello smartphone. Il grande fratello orwelliano che segue tutti noi in ogni momento della nostra vita, finendo spesso per sostituirla con il regno del web che navighiamo ormai quasi esclusivamente attraverso il suo piccolo schermo. Persino il cinema oggi viene sempre più spesso sostituito dai sei pollici con cui postiamo nuove storie di Instagram. Uno strumento così influente sul nostro concetto di realtà da essere diventato una sorta di giudice, di discriminante su ciò che è vero e ciò che non lo è; ciò che esiste e quello che invece no. Ecco dunque che un assiduo sperimentatore e appassionato del rapporto tra settima arte e nuove tecnologie come Soderbergh si affida a questo device per raccontare proprio la storia di una donna qualunque alle prese con una situazione che ne mette in serio dubbio il concetto di reale. Sawyer, già visibilmente provata dal trauma subito in passato, una volta ricoverata forzatamente finisce per sentire la propria sanità mentale vacillare e persino il suo unico amico all'interno della clinica, il reporter Nate (Jay Pharoah), che tenta di tenere a galla la sua razionalità potrebbe in fondo essere un altro individuo affetto da gravi paranoie.
La tipica ambiguità del thriller trova in Unsane una corrispondenza ideale con le tematiche sociali sottese alla trama principale, proprio come accade nel cinema di genere più riuscito, sfruttando però anche la novità tecnologica rappresentata dall'uso di un cellulare al posto di una macchina da presa. Una vittoria su tutti i fronti per l'esperimento di Soderbergh e, allo stesso tempo, un fortissimo grido d'allarme per due temi di estrema attualità. Per quanto paradossale possa sembrare la sua storia, tutti noi conosciamo almeno una Sawyer distrutta nel corpo e nella mente da un uomo che sa amare solo in modo malato e da istituzioni che mettono sempre in secondo piano le richieste d'aiuto femminili.
Piccolo satellite orbitante attorno al pianeta Cinema ma con la forte attrazione anche per le altre arti e in particolare per quelle che più segnano la nostra contemporaneità: fumetto, videogame ecc. Fondamentale per me è che chi scriva qui abbia assoluta cognizione di causa (io ad esempio possiedo una laurea triennale al DAMS e una magistrale in scienze dello spettacolo). Auguro buona lettura e buona riflessione a chiunque voglia fermarsi su questo sperduto satellite della settima arte.
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