lunedì 13 maggio 2019

BOSTON - CACCIA ALL'UOMO: LO SGUARDO COLLETTIVO DINANZI ALLA TRAGEDIA

Su come l'attentato dell'11 settembre 2001 abbia indelebilmente influenzato l'Occidente e, di conseguenza, il suo cinema ci sono centinaia di testi supportati da altrettanti esempi circa la presenza di questo evento devastante all'interno sia dell'estetica che della mitopoiesi contemporanea. Tra i film evidentemente legati all'immaginario nato da quel trauma in primis americano vi è, senza alcun dubbio, Boston- Caccia all'uomo (Patriots Day il ben più significativo titolo originale), diretto da Peter Berg nel 2016 nel tentativo di narrare in realtà un altro attentato, quello avvenuto nel 2013 durante la tradizionale maratona che si tiene ogni anno per i festeggiamenti del Patriots' Day. La pellicola, nonostante un risultato al box office tutt'altro che esaltante, ha saputo conquistare la critica americana e non e adesso proveremo a scoprire il perché.

Il lungometraggio ricostruisce, con notevole rispetto dei fatti reali, le ore che precedono l'attentato seguendo le vicende quotidiane di un nutrito gruppo di cittadini di Boston. tra i quali spiccano il sergente Tommy Saunders (Mark Wahlberg) e il nucleo familiare dei due attentatori, composto dai fratelli Tamerlan e Dzhokhar e dalla moglie del primo, Katherine (Melissa Benoist). Una volta esplose le bombe la narrazione segue la successiva elaborazione del lutto e soprattutto la caccia ai due terroristi, intenzionati a colpire ancora.

Gran parte della critica italiana, seppur concorde nel rilevarne la buona se non ottima fattura, insiste sul presunto carattere sfacciatamente patriottico e improntato all'esaltazione estrema dei tipici valori americani di questo Patriots Day (d'ora in poi ricorrerò sempre al titolo originale). Chiaramente è impossibile negare la presenza di un sentito omaggio al coraggio e alla resilienza del popolo statunitense, caratteri tipici della propaganda nazionalista made in USA, ma è importante notare come Peter Berg rivolga il suo sguardo soprattutto a Boston, una sola città e non una qualsiasi. Come già affermato a proposito di Gone Baby Gone (Ben Affleck, 2008), la capitale del Massachusetts costituisce un microcosmo ben definito, specialmente a livello cinematografico, da distinguere rispetto al resto degli States, come se fosse un piccolo stato indipendente all'interno di una nazione che è già di per sé l'aggregazione di più realtà autonome. Sicuramente influenzato proprio dall'immagine filmica della città creata da Scorsese e Affleck, l'autore di Lone Survivor (2013) decide di ricreare la realtà fattuale attraverso il filtro di una sorta di soggettiva di questa comunità, della quale i vari personaggi introdotti nelle ore precedenti all'attentato rappresentano parti di un tutto di hegeliana concezione. Il ricorso costante a diversi strumenti di ripresa e stili visuali come le telecamere di sorveglianza o la camera in spalla non acquisiscono dunque il solo scopo di conferire realismo alle vicende messe in scena, avvicinando la forma del film a quella del documentario di guerra, ma finisce per dimostrare come ognuna di quelle inquadrature rappresenti uno dei molteplici sguardi della città, trasformata in un unico organismo non solo pensante, bensì dotato di uno sguardo indagatore colmo di quei sentimenti di dolore e desiderio di rivalsa che sono stati scatenati dalla ferita subita. Attraverso questa lettura assume un senso ben più compito anche la scelta di abbandonare per gran parte della seconda parte della pellicola i civili feriti al centro della prima metà. Berg non dimentica neanche per un secondo il lato umano delle vicende che racconta e dunque in questo caso sembra voler mettere in scena la reazione, ben più emotiva che razionale, dell'organismo Boston nei confronti dell'attentato: come una leonessa che ha perso alcuni dei propri cuccioli, subito dopo aver messo al sicuro i sopravvissuti, la città si muove con ferocia contro il nemico, facendo della ricerca della giustizia il suo unico fine. Certo, può esserci un tutt'altro che velato intento vendicativo nell'accerchiamento degli attentatori, nell'accentuare la vacuità delle loro motivazioni o nella catarsi scaturita dall'arresto del più giovane dei fratelli ma sarebbe piuttosto utopico immaginare una reazione a una tragedia simile priva di un minimo sentimento di rabbia. Da questo punto di vista il cineasta newyorkese non si abbandona a idilli o facili buonismi e anzi, all'interno di un quadro evidentemente schierato a favore degli interessi americani, inserisce molti momenti, neanche troppo velati, di ambiguità nei riguardi di un'interpretazione dei fatti semplicisticamente pro USA. L'estraneità dell'FBI e in generale di tutte quelle autorità nazionali estranee a Boston, così come quell'interrogatorio a Katherine così sordido (non è neanche ben chiaro chi sia e quale istituzione rappresenti la donna che se ne occupa) mostrano in realtà che il cuore e l'approccio più sentimentale che razionale dell'autore sono dalla parte di questo straordinario microcosmo, anche a dispetto del resto del paese.

Peter Berg da qualche anno a questa parte sta dimostrando di saper muoversi con grande forza estetica ed empatica all'interno del war movie e questo Patriots Day ne è l'ennesima conferma, perché quella che mette in scena è davvero una guerra; uno di quei conflitti contemporanei, privi di distinzioni tra soldati e civili, ripreso per questo attraverso gli stilemi e i mezzi più attuali delle immagini dal fronte.

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