giovedì 2 maggio 2019

AVENGERS: ENDGAME. FINALE DI STAGIONE PER IL MCU

Per quanto possano storcere il naso cinefili e studiosi ossessionati solamente dal cinema da festival e dai solito quattro o cinque nomi storici invocati quasi come un mantra all'interno di ogni discussione online, il Marvel Cinematic Universe è una realtà impossibile da ignorare all'interno del panorama contemporaneo. Volendo analizzare anche solamente il risvolto commerciale del progetto è innegabile come ogni pellicola a esso legata trascini in sala milioni di spettatori, permettendo a piccoli e grandi esercenti di tenere viva ancora oggi questo tipo di esperienza di visione e di conseguenza perpetrandola anche nelle generazioni più giovani, quelle nate e cresciute con lo streaming e i device portatili. Dopo ben undici anni costellati dall'impressionante cifra di ventidue lungometraggi, il MCU arriva in questi giorni a chiudere il cerchio di quelle storie iniziate nel 2008 con Iron Man (diretto da John Favreau) tramite Avengers: Endgame, seguito girato in contemporanea (non a caso proprio come avviene per i continuous serial) di quell'Avengers: Infinity War (2018) diretto sempre da Anthony e Joe Russo. Inutile sottolineare i record di incassi stabiliti in pochi giorni di distribuzione, così come le recensioni entusiaste della critica anglofona. Un successo preannunciato per un film-evento.

Rivelare molto della trama del film che ha veramente raggiunto l'apice dell'odierna isteria di massa per gli spoiler sarebbe ingeneroso e dunque mi limito a riferire solamente che le vicende narrate si svolgono immediatamente dopo lo schiocco di dita di Thanos (Josh Brolin), mostrando le tragiche conseguenze sul pianeta della scomparsa di metà della sua popolazione. Feriti nel fisico e nello spirito i Vendicatori rimasti si riuniscono grazie all'intervento di Captain Marvel (Brie Larson), l'unica in grado di salvare Tony Stark (Robert Downey Jr.) e Nebula (Karen Gillan) da morte sicura nello spazio, e meditano vendetta verso il possessore delle Gemme dell'infinito. Come spesso succede la semplice restituzione del torto subito non porta ai risultati sperati e solo il successivo ritorno dal regno quantico di Ant-Man (Paul Rudd) porterà nuove speranze alla squadra.

Analizzare questo Avengers: Endgame senza conoscere i precedenti film della saga sarebbe impossibile, ancora di più rispetto ai precedenti crossover tra supereroi Marvel o a qualsiasi capitolo di una trilogia, perché in questo caso lo spettatore si trova dinanzi alla conferma definitiva (caso mai ce ne fosse ancora bisogno) della natura profondamente seriale delle esperienze filmiche del MCU. Sebbene ogni singola pellicola possieda una propria unità narrativa e possa essere goduto come prodotto singolo, la realtà è che gran parte del pubblico viene sapientemente spronata da una precisa scelta narratologica a vivere ogni pellicola come un episodio di un grande serial cinematografico, aggiornando così la lezione di lavori quali Adventures of Captain Marvel (John English, William Witney, 1941) o Batman (Lambert Hillyer, 1943) alle tendenze del blockbuster crossmediale contemporaneo, ricco di influenze dalla narrazione televisiva. Tramite questa ineluttabile (tanto per rimandare all'aggettivo che ahimè gli italiani pare abbiano scoperto solamente grazie all'adattamento italiano dei dialoghi di Thanos) chiave di lettura diventa evidente come il lungometraggio in analisi rappresenti una vera e propria conclusione di tutta la linea narrativa che soggiaceva all'universo cinematografico Marvel e quindi, ricorrendo proprio al lessico della serialità televisiva, il finale di stagione delle peripezie degli Avengers.  A essere precisi bisognerebbe considerare questo season finale come composto dall'unione con il prequel, tant'è che infatti nelle fasi iniziali di pre-produzione gli addetti ai lavori parlavano di Infinity War Part 1 e Part 2, sottolineando esattamente la relazione inscindibile tra questi due film. Due film che assurgono al ruolo di alpha e omega della visione dei Russo del gruppo di supereroi guidato da Captain America (Chris Evans), positivo e negativo, yin e yang di un approccio al genere, al cinema e alla mitopoiesi. Se, infatti, Infinity War era impostato come una inesorabile cavalcata con un crescendo costante di tensione verso la vittoria schiacciante del titano interpretato finemente da Brolin, vero protagonista della pellicola, il suo seguito invece si rivela ben più intimo, dai ritmi meno furiosi e, soprattutto nella prima sezione, mosso principalmente dall'intenzione di mostrare il lato più umano dei protagonisti, reso ben più marcato dal dolore conseguente alla dipartita di tante persone amate e dalla consapevolezza di aver miseramente fallito. Da questo punto di vista risaltano proprio le figure di coloro che si sentono maggiormente in colpa per la riuscita del piano nemico, in particolare Thor (Chris Hemsworth), la cui trasformazione slapstick in realtà nasconde una ferita emotiva e morale che si evince più dallo sguardo dell'attore che non dalla scrittura, e Clint Barton (Jeremy Renner), ancora una volta vero cuore pulsante e umano di una squadra di semidei. Per non incappare proprio nei famigerati spoiler evito di dilungarmi ulteriormente nel tratteggiare le evoluzioni di questi personaggi ma ciò che mi preme evidenziare è la grande attenzione riposta dalla coppia di registi nella costruzione emotiva del lutto, del senso di colpa dei sopravvissuti, delle incertezze, del dolore ma anche della riconciliazione. Ovviamente molti dei tantissimi eroi che appaiono su schermo nelle oltre tre ore finiscono per essere solamente comparse o poco più ma era inevitabile all'interno di un kolossal simile e dunque ciò che rende un'esperienza memorabile, sia per i fan di lunga data del franchise che per gli appassionati di cinema, questo Endgame è la crescita stilistica dei Russo, capaci di costruire sequenze finalmente in grado di mostrare una loro impronta di autori, come l'incipit riservato a Clint e alla sua famiglia o il mirabolante piano sequenza in cui lo stesso arciere affronta uno yakuza interpretato da Hiroyuki Sanada. Persino la scelta di rinunciare spesso al commento musicale, quasi sempre strabordante nei lavori Marvel senza mai regalare melodie davvero degne di essere ricordate, rivela la maturità espressiva intrapresa dagli autori di Captain America: The Winter Soldier (2014) e la menzionata opposizione speculare verso Infinity War, segnato da una colonna musica onnipresente ma tra le poche a risultare davvero ispirata tra quelle della saga.

In definitiva questo Avengers: Endgame difficilmente farà cambiare idea a chiunque non ami i cinecomic, il cinema di intrattenimento o i supereroi Marvel e di certo non convincerà chi vive ancora di pregiudizi verso questo tipo di settima arte ma, d'altro canto, come season finale di un serial durato undici anni non delude, accontenta il fanboy incallito senza rinunciare a mostrare una notevole crescita da parte dei suoi autori. Certo ogni affermazione estrema assimilabile ai soliti commenti "capolavoro" o "miglior cinecomic di sempre" restano estremismi inutili e infondati (a mio parere anche solo all'interno del MCU il già citato The Winter Soldier resta insuperato) ma queste sono argomentazioni futili da web 2.0.

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