giovedì 13 ottobre 2016

THE BOX: QUANDO STILE E POETICA SONO UNITI DAL CAOS


Al 2009 risale The Box, il terzo e finora ultimo lungometraggio di uno dei cineasti che potrebbe esemplificare al massimo il lato oscuro di Hollywood: l'ormai dimenticato autore di Donnie Darko (2001) Richard Kelly. Riassumendo in pochissime righe una vicenda che meriterebbe un approfondimento differente, l'autore in questione esordisce proprio con la pellicola oggi cult appena citata inizialmente però passando in sordina, anche a causa di tempistiche poco fortunate (il film esce nelle sale in una America ancora profondamente ferita dall'11 settembre). Soltanto con l'uscita in home video e la versione director's cut la pellicola avente per protagonista Jake Gyllenhaal ottiene il riconoscimento che merita, anzi probabilmente ne ottiene anche oltre i suoi meriti artistici effettivi portando a idolatrare il proprio autore quale nuovo enfant prodige del cinema statunitense. Come il passato insegna aspettative troppo alte e improvvise portano quasi sempre a una rovinosa caduta nel mondo della settima arte e Kelly purtroppo non fa eccezione; la sua seconda fatica, Southland Tales del 2006, fallisce nella corsa a Cannes e diventa un clamoroso flop di critica e pubblico.
Spese poche ma doverose parole sulla situazione che anticipa l'arrivo nelle sale di The Box appare evidente quanto esso rappresenti l'ultima possibilità da un punto di vista hollywoodiano per il cineasta di Newport News e, come da scontatissimo copione degno di una pessima soap opera, il lungometraggio viene aspramente criticato incassando anche pochissimo.
Lungi da me voler propagandare la mia opinione a chi leggerà questa breve analisi ma ho trovato fosse necessario informare sul contesto intriso di negatività che permea l'opera in oggetto. La trama trae ispirazione dal racconto Button, Button del noto autore di fantascienza Richard Matheson e dal suo adattamento televisivo per l'episodio omonimo appartenente alla seconda serie del famosissimo Ai confini della realtà (The Twilight Zone; 1985-1989). Protagonisti sono i due coniugi Norma (Cameron Diaz) e Arthur Lewis (James Mardsen), i quali, in un momento segnato da vari problemi economici, ricevono una strana scatola contenente un pulsante. L'uomo che gliela consegna (un conturbante Frank Langella) riferisce alla donna che in caso lei e suo marito decidano di premere il pulsante in questione riceveranno un milione di dollari, causando però la morte di una persona sconosciuta. Arthur, che lavora come ingegnere alla NASA, analizza il congegno e non riuscendo a capire come possa rendere possibile circostanze tanto tragiche ne sottovaluta le reali capacità, un atteggiamento che unito alle ansie della consorte portano quest'ultima a premere di getto il tasto. Questa scelta, già preceduta da alcuni eventi inquietanti, porterà a conseguenze ancora più nefaste e ai limiti della ragione.

Forse anche a causa di trailer fuorvianti o per la scelta di riprendere, almeno in parte, materiale già molto noto al pubblico molti hanno commesso l'errore di aspettarsi un thriller piuttosto convenzionale almeno dal punto di vista narrativo, basando tutta la narrazione sulla scelta di premere o meno il pulsante. In effetti Kelly avrebbe potuto scrivere e dirigere una pellicola claustrofobica e tesa di questo tipo mantenendosi oltretutto molto fedele al materiale di partenza ma il regista di Donnie Darko ha deciso di restare coerente con la propria poetica e con le sue ambizioni, cosa che lo ha portato a superare l'operato di Matheson per creare un prodotto personalissimo. The Box è un film di Richard Kelly in tutto e per tutto, una caratteristica non da poco a mio avviso, ed eccone i motivi. Da un punto di vista formale ritornano per l'intera durata della pellicola le immagini oniriche, bizzarre tipiche dello stile del cineasta che traggono ispirazione dalle fonti più disparate (dalla fantascienza anni 50 al misticismo sia occidentale che orientale). Il montaggio rifiuta la frenesia tipica del contemporaneo e persino gli effetti speciali spesso richiamano un immaginario di altri tempi, anche in omaggio a The Twilight Zone. Narrativamente, ma anche visivamente, il lungometraggio mescola numerosi generi, tra i quali spiccano thriller, fantascienza, spionaggio, horror paranoico in stile L'invasione degli ultracorpi (Invasion of the Body Snatchers; Don Siegel; 1956) e racconto morale. Esattamente tutto ciò che ha sbalordito il mondo di Donnie Darko e che forse è risultato eccessivo in Southland Tales e per di più rafforzato da ottime performance di Cameron Diaz e Frank Langella. Una riflessione che porta a considerare il vero punto focale del cinema dell'autore di Newport News il caos, sia nel linguaggio che nella poetica, in quanto unico comune denominatore dell'esistenza umana e dell'universo in generale. Persino la più insignificante scelta può portare alle più imponenti conseguenze, così come i più immani sforzi dell'uomo possono fallire miseramente di fronte a forze più grandi, come dimostra il finale di The Box.

In conclusione voglio ribadire come non sia mia intenzione difendere un film, un regista o inculcare ai lettori le mie personali opinioni ma ho trovato interessante e coraggioso il tentativo di Richard Kelly di imporre a tutti i costi la propria visione della settima arte e della vita persino nell'opera che ne può decidere la carriera e per questo ho condiviso con coi un'analisi più lontana possibile dal contesto emotivo che ha condizionato i giudizi sul film alla sua uscita. Fatemi sapere cosa ne pensate.

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