All'apice della propria notorietà Jaume Balaguerò (Fragile del 2005; REC del 2007) dirige nel 2011 il suo film più ambizioso e slegato alla sua vocazione per l'horror: Bed Time o meglio Mientras duermes. Accolta con grande entusiasmo dalla critica la pellicola non ha purtroppo avuto lo stesso successo commerciale dei due REC e non ha neanche assunto lo status di cult riservato dagli appassionati di cinema di genere ai mockumentary girati dall'autore spagnolo.
Protagonista delle vicende narrate in Sleep Tight (titolo statunitense) è il portiere César (magistralmente interpretato da Luis Tosar) il quale, dietro le sembianze di un solitario ma gentile e ordinario uomo di mezza età, nasconde una natura profondamente oscura: ogni notte si nasconde sotto il letto di Clara, una delle inquiline del condominio in cui lavora, la narcotizza e mette in pratica piani sempre più sinistri per renderle la vita un inferno. Il culmine delle crudeltà verso la donna viene raggiunto nel momento in cui subentra il fidanzato, il quale sospetta da subito delle vere intenzioni del protagonista.
Per chiunque sia avvezzo al cinema di Balaguerò risalta subito lo stile registico adottato in questa sua ottava fatica volutamente asciutto, privo delle sperimentazioni formali piuttosto ardite viste nei suoi lavori precedenti delle quali riprende solamente la predilezione per le ombre e le ambientazioni chiuse, più claustrofobiche possibile. Tornano alcuni suoi topoi come la radio e il condominio eppure uno spettatore accorto sente di trovarsi quasi di fronte a un regista del tutto nuovo.
L'essenzialità dello stile cela al suo interno una ricchezza narrativa ed emotiva estremamente notevole, come se volesse adattarsi alla figura di César, semplice all'apparenza ma carico di riflessioni al suo interno. La sequenza iniziale del lungometraggio risulta una vera e propria anticipazione di tutto quello che seguirà: una situazione di assoluta quotidianità ribaltata nel modo più inatteso dalle azioni del portiere, il tutto quasi sempre durante la notte, mentre il resto del mondo dorme e l'uomo vive al massimo la propria solitudine. Questa risulta essere la chiave di volta della narrativa, il tema prevalente, in quanto le azioni disumane svolte dall'uomo sono dettate dall'infelicità perenne causatagli proprio dalla solitudine e l'unico rimedio che riesce a trovare per non gettarsi nel vuoto per concludere una vita senza senso è quello di infliggere agli altri la stessa tristezza che prova, soprattutto a chi sembra essere capace di sorridere a qualunque avversità come Clara. Eccola, la medicina citata nel titolo dell'analisi in questione trova la sua forma più completa e come raramente capita nel cinema viene narrata dal punto di vista dello stalker, una delle figure più controverse e presenti nella giungla impazzita dell'occidente odierno, in primo luogo nelle vicende di cronaca nera decantate come un rito quotidiano dai media. La giovane donna diventa per il personaggio interpretato da Tosar più che un'ossessione, finisce per essere il suo unico amore e per questo inviarle inquietanti lettere anonime o sms non basta più innescando un vortice di abusi e violenze che trova il proprio abisso nella nascita di un bambino: il massimo dell'innocenza così come il simbolo di una vita che non potrà mai più essere la stessa per Clara.
Per quanto spietato e ingiustificabile sia il comportamento del portiere stalker la scelta del cineasta iberico di utilizzare il suo punto di vista per le vicende rappresentate fa in modo che lo spettatore si senta in qualche modo vicino all'uomo, quasi si identifichi con lui nonostante disprezzi la sua assenza di moralità. Una scelta già adottata nella saga dedicata al personaggio di Hannibal Lecter quindi non così innovativa certo ma che viene adottata per ben altri motivi: mentre il medico cannibale può essere considerato come una miscela delle più note figure di villain da film horror all'insegna della raffinatezza intellettuale César rappresenta l'estremo prodotto della solitudine causata dalle condizioni di vita nel mondo globalizzato, la stessa sensazione che colpisce in misure diverse tutti noi. In fondo tutti i personaggi messi in scena da Balaguerò sono soli (esemplare la sequenza in cui il protagonista sbatte in faccia a un'anziana inquilina la propria infelicità e le false attenzioni che riceve dagli altri) e provano risentimento verso gli altri, cosa che rende il perfido portiere una versione hitchcockiana e contemporanea del Travis Bickle di Taxi Driver (Martin Scorsese; 1976), una vittima prima che mostro.
Fatemi sapere se siete d'accordo con la mia analisi e magari anche con il forte paragone da me azzardato.
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