venerdì 28 novembre 2025

AFTER THE HUNT - DOPO LA CACCIA: NULLA È REALE, TUTTO È NARRAZIONE

Mentre l'industria che fu resta solo una chimera e il pubblico nazionale continua a pensare che la centenaria storia del cinema italiano si riassuma in cinepanettoni e commedie con protagonisti i comici televisivi/social di turno, Luca Guadagnino da più di un decennio lavora con il gotha di Hollywood e della cinematografia americana indipendente, cimentandosi spesso in progetti particolarmente rischiosi, senza disdegnare persino le incursioni tra i generi popolari. Dopo gli ottimi riscontri nel corso del 2024 ricevuti da Challengers e Queer, nel 2025 il cineasta siciliano dirige per Amazon After the Hunt - Dopo la caccia (After the Hunt in originale), potendo contare su un cast di prim'ordine e una distribuzione su larga scala in sala prima dell'arrivo su Prime. Ciononostante il film, oltre a recuperare solamente una minima parte del suo budget da circa 80 milioni di dollari, viene accolto da recensioni in gran parte negative, soprattutto negli Stati Uniti. Un dato che, conclusa la visione, risulta quanto mai scontato e inevitabile, non per colpa dell'opera stessa.


Ambientato tra le mura della prestigiosa università di Yale, la pellicola vede la stimata professoressa di filosofia Alma Imhoff (Julia Roberts) alle prese con le conseguenze dell'accusa da parte della sua dottoranda Maggie Resnick (Ayo Edebiri) di aver subito molestie sessuali da un altro professore, nonché migliore amico di Alma, Hank Gibson (Andrew Garfield). L'episodio, oltre a porre la protagonista in una posizione delicata, visto il forte coinvolgimento affettivo con entrambi, risveglia in lei anche un trauma giovanile, che la porta sull'orlo di una crisi etica, professionale e persino di salute fisica.


Fin dai titoli di testa, il cui font è ben riconoscibile da qualunque cinefilo, e dalla sequenza d'apertura After the Hunt dichiara programmaticamente le proprie influenze primarie: Woody Allen e David Fincher, evocati dalle lunghe inquadrature in interni tra disquisizioni (pseudo) intellettualistiche tra tipici esponenti dell'alta borghesia della East Coast, le tante inquadrature in dettaglio sulle mani dei personaggi, i colori freddi della scenografia, la colonna musica di Trent Reznor e Atticus Ross che si insinua con circospezione fino a diventare sempre più minacciosa. Entrambi i registi e in particolare i loro trascorsi con il thriller diventano tra le mani del demiurgo Guadagnino materia plastica ideale per raccontare un mondo, quello accademico americano del lustro in essere, in preda a scontri culturali e sociali che solamente quel genere può descrivere con la dovuta efficacia, in maniera non dissimile da come aveva fatto Oliver Stone negli anni Ottanta con Wall Street e il milieu degli yuppies.

Dietro la facciata di reciproco scambio intellettuale, formazione personale e culturale all'insegna delle più attuali e inclusive metodologie didattiche, rapporti interpersonali ben più informali rispetto a quelli che caratterizzavano nei decenni scorsi docenti e discenti, Yale assume il ruolo di sineddoche di quella che argutamente Maggie definisce una società radicalizzata: il sempiterno scontro generazionale diventa battaglia campale, senza esclusione di colpi da qualunque angolazione o versante, tutto ciò che esce dalla bocca dell'altro lato della barricata è stupido, incomprensibile o volto a ferire il prossimo, ogni confronto finisce inevitabilmente in un tentativo di screditare l'autore dell'opinione, invece di discutere la validità o meno dell'opinione espressa. A ciò si aggiunge, come viene a più riprese evidenziato sia dai dialoghi nel corso delle lezioni di filosofia di Alma, sia grazie alle ripetute riprese degli schermi che scandiscono la vita di tutti noi, la progressiva perdita di confini netti tra realtà fenomenica e digitale, per cui il risultato finale inevitabilmente si traduce in un mondo non solo frammentato da polarizzazioni estreme e insanabili, ma che si pone su queste posizioni in conflitto sulla base non di ciò che è, bensì su quello che viene raccontato.


L'autore di Bones and All (Luca Guadagnino, 2022) dosa con millimetrica precisione ciò che può essere filmato e ciò che invece deve restare fuori dal profilmico, così da preludere allo spettatore e ai personaggi stessi quella verità oggettiva che sembra essere ormai scomparsa dalle maglie della contemporaneità, dove a decretare la liceità di un'affermazione è la quantità di reaction e non prove a supporto della stessa e la presunzione di innocenza su cui si basa il sistema giuridico democratico è un lontano ricordo, soppiantato dai tribunali mediatici e dallo spauracchio di una cattiva pubblicità. Come in Gone Girl (L'amore bugiardo - Gone Girl, David Fincher, 2012) i cittadini si sono trasformati in audience, pronto a essere affabulato dal racconto più avvincente e, soprattutto, più strappalacrime per poi decidere a cosa credere e così non ci sono buoni o cattivi, colpevoli o innocenti, solo Giani bifronte che a seconda della prospettiva o del narratore sono al contempo vittime e carnefici, pronti a vendere all'utenza 2.0 i propri traumi, così da ricevere finalmente una riconoscibilità e il giusto spazio nella collettività. La complessità, categoria imprescindibile di un mondo globalizzato e in costante mutazione, ridotta a puro algoritmo a base di iterazioni, mentre la sceneggiatura firmata da Nora Garrett ci ricorda che dei dottorandi di filosofia nel pantheon della cultura occidentale sanno a malapena chi sia Omero e non riescono a comprendere il principio dell'astrazione nella riflessione epistemologica.

After the Hunt è un film feroce, mai accomodante e ostentatamente dissacrante nel tentativo di descrivere quello che siamo o che la semplificazione estrema della complessità comporta in termini sociali, civili, culturali e persino emozionali e, dunque, come poteva piacere là dove punta il dito di un regista talmente divertito dal circo in cui viviamo da chiudere la pellicola con un "Cut" urlato in voice over?

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