domenica 4 maggio 2025

COMPANION: GOOD GUYS STAB YOU IN THE FRONT

In un periodo transitorio come quello attuale per il cinema, sopravvissuto alla fine del trend dei cinecomics, così come all'ennesima morte annunciata dovuta al COVID-19 e alla contestuale esplosione dello streaming casalingo, vedere una major produrre e distribuire su larga scala opere con budget ristretti e lontane da qualsivoglia franchise appare quasi utopia, eppure quest'anno Warner Bros, probabilmente quella più in difficoltà tra le grandi potenze hollywoodiane, ha portato sugli schermi di tutto il mondo Companion. Diretto dall'esordiente al lungometraggio Drew Hancock, motivo per cui la campagna marketing ha sottolineato soprattutto la presenza nelle vesti di produttore del fautore di Barbarian Zach Cregger, il film ha ricevuto reazioni entusiastiche da parte della critica, specie negli Stati Uniti, e un discreto successo al botteghino, considerando peraltro che negli ultimi tempi quasi tutte le produzioni con elementi vagamente fantascientifiche stanno faticando e non poco.


Ambientata in un futuro non troppo distante dal nostro presente, la pellicola la piccola vacanza a casa di un ambiguo quanto ricco russo di nome Sergey (Rupert Friend) della coppia formata da Iris (Sophie Thatcher) e Josh (Jack Quaid). Nella lussuosa casa del magnate europeo i due trovano anche i migliori amici del ragazzo, la scontrosa Kat (Megan Suri) e gli innamoratissimi Eli (Harvey Guillén) e Patrick (Lukas Gage). Quello che sembrerebbe un semplice weekend di relax, lontano dalle fatiche della quotidianità, viene rivoluzionato da due eventi concatenati: il tentativo di stupro da parte di Dimitry nei confronti di Iris e la rivelazione che questa e Patrick sono in realtà androidi accompagnatori.


Già dalla sequenza introduttiva, quella che mostra come si sarebbero conosciuti i protagonisti, Companion mette in chiaro la propria natura estremamente e volutamente derivativa, dato lo spirito marcatamente postmoderno con cui affronta sia i generi, sia i temi al centro del racconto. La voce over di Iris, il suo abbigliamento da fidanzata modello secondo i canoni borghesi americani e persino i colori pastello di fotografia e scenografia mettono in luce una lunga serie di riferimenti ipertestuali topici per il panorama filmico a cavallo tra anni Novanta e Duemila (fase storica in cui il postmodernismo ha trovato il proprio canto del cigno nell'immaginario mainstream) e per le riflessioni da proporre allo spettatore, da La donna perfetta (The Stepford Wives, Frank Oz, 2004) al periodo pulp di Guy Ritchie, passando per Her (Spike Jonze, 2013) e persino opere meno conosciute come Virtual Sexuality (Nick Hurran, 1999) e Dovevi essere morta (Deadly Friend, Wes Craven, 1986). Altrettanto postmoderna è l'ironia, spesso molto caustica e amara, che permea la narrazione, probabilmente indispensabile oggi per rendere digeribili al grande pubblico i momenti più oscuri e disturbanti della vicenda, ma che al contempo esalta alcuni degli interpreti (in particolare Quaid) e affossa appunto la problematizzazione delle riflessioni poste da Hancock. Le montagne russe costanti tra incursioni nel lato più oscuro dell'umanità e del suo utilizzo della tecnologia e le battute dei personaggi, infatti, da un lato avvicinano lo stile narrativo a quello dei meme, attirando in tal senso lo spettatore Millennial o Gen-Z, dall'altro depotenziano la profondità della portata poetica del lungometraggio, specie se si considera che le intuizioni di cui si fregia non sono certo nuove per chiunque abbia un minimo di dimestichezza con l'audiovisivo.

Ciononostante il mix di generi orchestrato dal regista statunitense si adatta efficacemente alla volontà di mettere in scena certe dinamiche tossiche che imperversano tra le coppie, di qualunque orientamento, che nascono però in primis dalle insicurezze che vive il maschio in una società in trasformazione. Il ruolo di potere incontrastato che ha sempre rivestito l'uomo viene oggi, fortunatamente, ridiscusso e questo porta a una costante ricerca da parte di molti maschi, anche molto giovani e istruiti, di relazioni basate non sulla reciprocità, bensì sulla soddisfazione egoistica del proprio bisogno di controllo e, conseguentemente, sulla sensazione di essere il centro di gravità permanente dell'altro. Un tale concentrato di narcisismo, mancanza di empatia e pratiche di gaslighting viene evidenziato nella pellicola dalla scelta di Josh di abbandonare ogni tentativo di trovare una compagna compatibile in favore di una artificiale, da lui modellata e priva di autonomia vera e propria. Si pensi ad esempio a come ne possa modificare le capacità intellettive o alla sequenza flashback in cui il giovane, subito dopo aver configurato Iris, come primo utilizzo pensa immediatamente al sesso. Altrettanto importante nella rappresentazione di suddette dinamiche di potere all'interno della coppia è la caratterizzazione del personaggio dal volto di Jack Quaid come "bravo ragazzo", quello che noi italiani purtroppo abbiamo sentito fin troppo spesso affibbiato a colpevoli di femminicidi brutali e totalmente premeditati. Josh è realmente convinto di essere nel giusto da un punto di vista etico, poiché figlio di secoli di cultura patriarcale che ne ha difeso le pretese sul prossimo, specie se donna, ma tutto questo non potrebbe forse portare alla scia di uccisioni e violenze presenti nel film senza un'ulteriore componente: la profonda crisi economica e sociale del mondo post-capitalista. In fondo perché un trentenne codardo, immaturo e di classe media come il protagonista/villain dovrebbe mai pensare di mettere in moto il piano criminale concernente Dimitry? Niente di tutto questo gli sarebbe mai passato per l'anticamera del cervello senza un contesto di enorme decadimento del benessere economico e dei connessi equilibri sociali che tutti noi stiamo vivendo a partire dal famigerato crollo delle borse mondiali del 2008. Una condizione di costante incertezza verso il futuro, improvvisazione interminabile per riuscire a portare il pane in tavola in qualche monolocale il cui affitto costa quasi quanto quel tanto agognato stipendio derivato da un impiego rigorosamente a tempo determinato. I Josh sono evidentemente figli anche di questa situazione, oltre che del tradizionale patriarcato messo finalmente in discussione dalle nuove generazioni, e questo lo si può evincere anche da un personaggio quale Eli, certamente più positivo, visto l'amore sincero che prova verso Patrick, ma che accetta di far parte delle orchestrazioni dell'amico pur di avere la sua fetta di denaro. In barba anche al politically correct odierno che non vorrebbe mai una figura queer cadere nelle tentazioni del lato oscuro della moralità.


Chissà cosa sarebbe potuto essere Companion tra le mani di un profondo conoscitore delle meccaniche di genere come Carpenter o, restando tra le fila di autori più giovani e attivi nell'oggi, Leigh Whannell, che con L'uomo invisibile (The Invisible Man, 2020) aveva già affrontato le medesime tematiche, ma con ben altra potenza immaginifica, conoscenza formale del mezzo e pregnanza. Al netto di questi what if ci godiamo un film molto godibile, recitato magnificamente dalla coppia protagonista e che può aiutare una fascia di pubblico non così avvezza a riflettere su ciò che ha intorno o persino dentro casa.

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