La pellicola segue, nell'arco di tre intervalli temporali di dodici anni, il rapporto tra Nora/Na Young (Greta Lee) e Hae Sung (Teo Yoo), fidanzatini di fatto nella pre-adolescenza in Corea, separati però dalla decisione dei genitori della ragazza di trasferirsi a Toronto, dove quest'ultima cambia anche nome. Proprio dodici anno dopo il trasloco intercontinentale, i due riescono a ritrovarsi grazie a Facebook e, nonostante la distanza e il lungo periodo trascorso senza parlarsi o vedersi, la complicità resta illesa, ma ormai ognuno ha una propria vita, specie la giovane, motivata a diventare una grande sceneggiatrice.
Nel cuore del suo concept drammaturgico Past Lives si inserisce senza alcun dubbio nel solco di una tradizione che annovera classici quali il ciclo della quattro stagioni di Eric Rohmer, la trilogia Before di Richard Linklater e In the Mood for Love (Wong Kar-wai, 2000) e molti altri epigoni più o meno riusciti, motivo per cui Song decide saggiamente di concentrare il proprio sguardo non sulla reinvenzione della ruota, bensì sull'offrire una prospettiva particolare e quanto mai contemporanea di questo tipo di racconto, resa possibile anche da trascorsi personali che ben si evincono da quanto accade sullo schermo. La cineasta canadese, nata però in Corea, nel mettere in scena una coppia che resta sempre in divenire, sempre sul punto di realizzare un amore che però finisce per fermarsi sempre alla potenzialità, pone l'accento su un tema che nel mondo attuale assume forse ancor più importanza rispetto agli esempi precedentemente illustrati, specie considerando le specificità di un mondo ormai fortemente globalizzato e in costante mutamento. Mi riferisco alla dialettica tra amore "romantico" e realizzazione individuale, tra abbandono al sentimento più irrazionale e contingenze quotidiane. Tutto certamente già sviscerato, fin dai tempi di Jane Austin e Goethe, ma in questo caso con i piedi ben saldi nell'era delle distanze azzerate solamente in teoria grazie a internet, i social network e i voli intercontinentali. Nora e Hae Sung, difatti, vivono il loro complicato rapporto in contemporanea alla crescita esponenziale della centralità del digitale nelle vite di tutti noi, saggiandone i grandi vantaggi, come ad esempio le videochiamate con cui si innamorano nuovamente a circa ventiquattro anni, così come i lati oscuri, dalla delusione cocente dell'impossibilità di conciliare i propri impegni nonostante l'apparente semplicità con cui ci si può spostare oggi fino al ruolo fondamentale che l'economia possiede persino nelle storie d'amore.
In maniera non dissimile da quanto visto nel mai abbastanza ricordato Like Crazy (Drake Doremus, 2011), l'autrice pone in evidenza quanto sia difficile conciliare il materialismo estremo alla base del nostro modello sociale con una lunga tradizione culturale che esalta invece la forza ben più dionisiaca dell'amore erotico, simboleggiato dal concetto coreano del inyeon a cui i personaggi del film fanno riferimento a più riprese. Un mondo in cui la paura della solitudine è il primo motore relazionale, due giovani innamorati si sposano prima del previsto per evitare che uno dei due venga espatriato e si vive in una città iconica come New York senza aver mai messo piede sulla Statua della Libertà, è in netta controtendenza con il concetto stesso di anime gemelle che si sfiorano nel corso di ogni esistenza fino ad arrivare a stare finalmente insieme e, di conseguenza, anche un'artista quale Nora trova maggiore sicurezza e aderenza al proprio io in una relazione poeticamente scialba ma indubbiamente autentica come quella con Arthur (John Magaro). Personaggio, peraltro, che permette a Song di ribaltare uno dei topoi del filone, ovvero quello del terzo incomodo, solitamente pieno di sé ed emotivamente freddo, che impedisce fino all'ultimo il ricongiungimento dei protagonisti. In questo caso, invece, lo scrittore con cui la donna vive da molti anni è l'esatto opposto, con le tante attenzioni che riserva all'amata, la sensibilità che dimostra quando Hae Sung arriva in America e persino una sorta di commento che sfonda i confini della diegesi proprio su quanto, anche solo da un punto di vista lirico, lui non abbia niente da offrire che possa rivaleggiare con il filo del destino che lega la consorte al suo primo amore. In tal senso la pellicola non schematizza la separazione tra due tipologie di sentimenti, anzi problematizza con rara delicatezza una questione che non è mai stata manichea e che lo è ancor di meno in un momento storico in cui siamo costantemente schiacciati da forze che mettono in secondo piano l'empatia e il bisogno innato che abbiamo di condividere le nostre esistenze con l'altro.
Past Lives è, dunque, il capolavoro epocale descritto dalla critica statunitense? Non per il sottoscritto, poiché ciò che difetta alla pellicola per arrivare ai medesimi livelli dei modelli precedentemente citati è una maggior personalità. In primis sul piano formale Song, pur ricorrendo a una qualità nella composizione delle inquadrature nettamente sopra la media e di grande fascino estetico, sembra trovarsi in una via media tra la fotografia straordinariamente estetizzante e sperimentale di Christopher Doyle nella filmografia di Wong Kar-wai e l'intimismo quasi documentaristico del succitato Like Crazy, tradendo probabilmente anche il fatto di essere agli esordi nell'ambito del lungometraggio. Anche la caratterizzazione dei protagonisti vive maggiormente delle straordinarie interpretazioni attoriali rispetto a una introspezione in sede di sceneggiatura, ciononostante basterebbe il piano sequenza conclusivo a rendere questa pellicola una visione imperdibile e un grande auspicio per l'avvenire di Song.
Nessun commento:
Posta un commento