Parlare di produzioni travagliate quando si tratta di pellicole targate DC Comics sembra quasi la regola (si pensi anche soltanto a Zack Snyder's Justice League arrivato per un vero e proprio miracolo su HBO Max nel 2021), eppure dopo quasi dieci anni di lavorazione, continui cambi di timonieri e le vicende giudiziarie di Ezra Miller sembrava proprio che The Flash non sarebbe mai stato distribuito, com'è invece accaduto, finalmente, nell'estate del 2023, con alla regia Andy Muschietti.
Ambientato a distanza di alcuni anni dalla resurrezione di Superman e la conseguente battaglia contro Steppenwolf, Barry Allen (Ezra Miller), nonostante il parere negativo di Bruce Wayne (Ben Affleck) e incoraggiato involontariamente dalla "crush" Iris West (Kiersey Clemons), decide di tornare indietro nel tempo per impedire la morte della madre (Maribel Verdù), per la quale tra l'altro viene da anni accusato ingiustamente suo padre Henry (Roy Livingston). Sebbene tenti di intaccare meno possibile il continuum spazio-temporale Flash viene scaraventato da un'entità misteriosa in una versione alternativa del 2013, dove è costretto a collaborare con il se stesso diciottenne, un Batman più anziano (Michael Keaton) e la kryptoniana Kara (Sasha Calle) per sconfiggere il generale Zod (Michael Shannon) e tornare nel proprio presente.
Analizzare un'opera come The Flash, arrivata in sala con almeno un lustro di ritardo rispetto ai piani iniziali, senza che la mente vaghi verso le sue vicissitudini produttive è un'operazione davvero difficile, specie se si considera quanto queste si rispecchino nella diegesi, dove i continui tentativi, spesso maldestri, di Barry e le infinite diramazioni del multiverso in cui si muove riflettono quasi specularmente le innumerevoli sliding doors attraversate dal film e dall'intero DCEU. Cosa sarebbe successo se avessimo avuto un The Flash a raccontare le origini del personaggio ancora prima del team up con il resto della Justice League? Come avrebbe accolto il pubblico l'idea del multiverso cinque o sei anni fa, quando uno strumento narratologico di questo tipo risultava ben noto quasi unicamente agli appassionati dei fumetti dedicati proprio al velocista scarlatto? Il racconto nato dalla penna di Christina Hodson risponde parzialmente a queste domande, non con ipotesi fantasiose, bensì con un intero percorso di crescita del protagonista e della sua controparte adolescente che si può riassumere in una delle frasi pronunciate a più riprese da Nora Allen: non sempre esiste una risposta, per questo qualche volta bisogna solamente lasciar andare. L'eroe, difatti, mai come nel suddetto caso non è colui che deve mostrarsi in grado di superare qualsiasi ostacolo e sconfiggere la minaccia di un male esterno, incarnato da un generale Zod che assurge in maniera palese un ruolo da MacGuffin hitchcockiano, bensì l'individuo che riesce a scavare nel profondo del proprio io fino a venire a patti con il suo lato oscuro e le ferite che ne hanno segnato l'esistenza, fino ad accettare quanto essi ne abbiano definito carattere, ideali, inclinazioni e rapporti umani. Come già accadeva in alcuni dei migliori esponenti del panorama cinecomic contemporaneo l'atavica lotta tra Bene e Male assume tratti quanto mai interiori ed esistenziali, seppur esteriorizzati attraverso topoi del genere come le numerose sequenze action e la moltiplicazione dei Barry Allen, che danno forma concreta alle diverse anime che convivono dentro ciascuno di noi in maniera non dissimile dalla classica dualità Jekyll/Hyde. Certo questa volta la coppia non si distingue per il diverso grado di moralità ma, in linea con un tono piuttosto scanzonato, si diverte a giocare con il divario generazionale tra millennials e teenager, con una lunga serie di gag dall'ottima riuscita, grazie anche alla verve interpretativa di Miller, che sanciscono un unicum all'interno dei lungometraggi DC, spesso piuttosto incerti quando si tratta di gestire i tempi comici. Nonostante ciò resta a elevare il film rispetto a un certo piattume in cui versa il filone negli ultimi anni è proprio la gravitas insita nelle vicende umane del protagonista, novello Marty McFly guidato da un Doc rappresentato da un'altra coppia, i due diversi Batman che, al netto delle differenze di età, disavventure e periodi storici in cui sono stati concepiti per la sala, cercano di indirizzare il più giovane amico verso quella consapevolezza dell'importanza dell'accettazione di sé e della fallibilità umana che rendono il vigilante di Gotham un personaggio amato da qualsiasi generazione.
Sebbene non manchino le ombre, figlie in alcuni casi delle succitate traversie produttive, come lo scarso utilizzo della carismatica Supergirl o la poca personalità della regia di Muschietti, che si fa notare davvero soltanto nel corso dell'adrenalinico inseguimento in moto a inizio pellicola, The Flash esce vincente dai tanti traumi subiti, dimostrando come sia possibile mostrare il lato anche più leggero dei supereroi DC senza dover per forza scimmiottare la concorrenza, lasciando però un grande vuoto almeno in una certa fetta di spettatori: come si può dire addio a cuor leggero a un Affleck così struggente e muscolare al tempo stesso nei panni del Cavaliere oscuro, così come al resto di quel patrimonio di personaggi, possibili storie, relazioni e temi, persino visuali, che hanno contraddistinto lo Snyderverse e che questo film ha omaggiato ben più di quanto ci si aspettasse?
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