Ambientato in un inizialmente imprecisato periodo successivo al finale di Matrix Revolutions (Lana e Lilly Wachowski, 2003), il lungometraggio vede Neo (Keanu Reeves) alle prese con una nuova versione della Matrice, in cui torna a vivere nei panni di Thomas Anderson, stavolta come game designer di fama mondiale, grazie proprio a una trilogia videoludica intitolata Matrix. Pur avvertendo di vivere un'esistenza lontana dall'essere davvero reale è soltanto l'arrivo di un gruppo di hacker provenienti dal mondo esterno, tra cui il capitano Bugs (Jessica Henwick) e una versione digitale di Morpheus (Yahya Abdul-Mateen II), a ricordargli chi sia davvero e restituirgli uno scopo: ricongiungersi con l'amata Trinity (Carrie-Anne Moss).
Alla stregua di quanto accaduto nel 1999, rivelare ulteriori brandelli di trama di Matrix Resurrections equivarrebbe a rovinare una parte non indifferente dell'emozione scaturita dallo script di Lana Wachowski, la quale, seppur orfana della sorella per la prima volta sia al cinema che in tv, esplora ancora una volta le tematiche più care alla coppia, riflettendo questa volta anche sulla saga che le ha consacrate al pantheon della settima arte, non senza una dose di notevole irriverenza. La prima metà dell'opera gioca continuamente con le aspettative e i ricordi di coloro che conoscono a menadito i prequel, permettendosi persino una sequenza iniziale speculare a quella del primo capitolo. Un espediente nostalgico fine a se stesso? Tutto l'opposto. La cineasta statunitense recupera l'intero background del passato per sbeffeggiare proprio la tendenza contemporanea al saccheggio di storie ormai classiche per mascherare un horror vacui creativo e umano imperante, dove Hollywood sembra credere che il pubblico sia affamato soltanto di già visto e minime variazioni sul tema. In particolare non può proprio passare inosservata la tagliente ironia con cui viene attaccata, davvero senza alcuna mezza misura, la Warner Bros stessa, rea di aver "costretto" l'autrice a tornare a lavorare alla saga in primo luogo per impedire alla casa di produzione di manipolare l'universo da lei creato, affidandolo a sceneggiatori e registi del tutto estranei a esso. Un vero e proprio atto di ribellione di un creativo verso il business dell'industria dell'intrattenimento fin troppo vicino ai temi di lotta contro il sistema insiti in ogni episodio del franchise e, di conseguenza, capace di fornire un'occasione estremamente ghiotta per fare del signor Anderson il perfetto avatar di Wachowski stessa.
Siamo dinanzi, allora, a un grosso dito medio verso i perfidi piani alti di Hollywood da parte di un'artista sentitasi depauperata del proprio lavoro e nient'altro? Ecco un altro no. Terminata la prima, più metariflessiva, metà la pellicola si sposta più in profondità all'interno della diegesi inaugurata a cavallo dei due millenni, mostrando quanto continuino a essere spaventosamente attuali i quesiti posti allora dalle due registe ed efficace il percorso cristologico di Neo, stavolta con un ventaglio di influenze narrativo-filosofiche in cui risulta evidente la maturazione personale di Lana in seguito al cambio di sesso e alla creazione di opere fieramente personali come Cloud Atlas (Lana e Lilly Wachowski, Tom Tykwer, 2012) e soprattutto Sense8 (Lana e Lilly Wachowski, J. Michael Straczynski, 2015-2018). Proprio come quest'ultima, Matrix Resurrections mette del tutto o quasi in secondo piano l'epica tradizionale e la spettacolarità legata alle sequenze action (indubbiamente molto più deboli stilisticamente rispetto al passato) in favore dell'esplorazione di temi come l'uguaglianza al di là di qualsivoglia barriera esistenziale e la centralità dell'amore ben oltre ogni forma di violenza. Ecco dunque che la love story tra Neo e Trinity diventa il vero perno su cui si regge l'intera impalcatura del racconto, ricordando anche ai più maliziosi quanto fondamentale fosse l'apporto della più celebre hacker cinematografica in ogni svolta messianica del compagno, facendo sì che il finale risulti totalmente rispettoso non solo della visione anti-binaria dell'autrice, bensì anche della stessa mitologia creata con i prequel.
L'amore sembra essere così l'unica forza in grado di unire uomini e macchine, di abbattere una nuova versione della Matrice ancor più infida della precedente e persino la bieca avidità di alcune case di produzione. Parliamo di un film potente quanto il primo Matrix? Assolutamente no e forse neanche quanto Reloaded (The Matrix Reloaded, Lana e Lilly Wachowski, 2003) ma di un rarissimo esempio di blockbuster dotato di intelligenza, personalità e, soprattutto, amore. E tanto basta, in un biennio di tale aridità sentimentale e solitaria ignavia emozionale, a fare di Matrix Resurrections una delle opere più importanti del 2021.
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