Liberamente ispirato all'omonimo poema epico-cavalleresco risalente al XIV secolo, il lungometraggio segue le gesta dell'aspirante cavaliere Gawain (Dev Patel), figlio di Morgana (Sarita Choudhury) e dunque nipote di re Artù (Sean Harris), che, nel corso dei festeggiamenti di Natale presso la corte reale, si offre di partecipare alla sfida lanciata dal misterioso Cavaliere Verde. Il protagonista decapita l'avversario senza alcuno sforzo ma, secondo le regole imposte in precedenza, è costretto l'anno successivo a recarsi presso la cappella nemica per subire la medesima ferita. Pur di rispettare l'impegno preso il nobile inizia un viaggio che ne cambia completamente la visione del mondo.
Aspettarsi da Lowery, sostenuto oltretutto da una casa di produzione come la A24, un fantasy di ispirazione medioevale nel solco di quanto offerto dai kolossal hollywoodiani sarebbe del tutto fuorviante per la fruizione di Sir Gawain e il Cavaliere Verde, che, al contrario, rispecchia in tutto e per tutto la personalità del suo autore. Come in parte già avvenuto con The Old Man & the Gun (David Lowery, 2018), il cineasta e montatore americano non nasconde i riferimenti a pietre miliari del genere o del filone narrativo di pertinenza, come Excalibur (John Boorman, 1981), a cui però aggiunge un gusto per la rarefazione e la dilatazione spazio-temporale delle inquadrature tipica della propria visione della settima arte. Se il fantasy oggi vive soprattutto dei meravigliosi mondi e delle battaglie di massa rese possibili dai progressi della CGI, la pellicola in analisi opta per un'illuminazione naturale ben più vicina al cinema di Malick ed effetti speciali analogici come matte painting e trucco protesico che richiamano alla mente la trilogia originale di Star Wars. Proprio con l'universo ideato da George Lucas condivide anche un impianto narratologico evidentemente in linea con il classico viaggio dell'eroe analizzato da Joseph Campbell: Gawain , presentato come un giovane dalle grandi aspirazioni ma ben poca dimestichezza con le grandi imprese, percorre un itinerario che fin da subito perde ogni connotazione geografica in favore di una dimensione prettamente etico-psicologica, attraverso cui perde l'innocenza e raggiunge finalmente la maturità dell'uomo adulto. Nel rispetto di questi canoni codificati fin dagli albori della narrativa, il protagonista è costretto a superare una serie di ostacoli lungo il cammino, impilati da Lowery attraverso una carrellata del tutto priva di decoupage classico al punto da rievocare la tradizione teatrale medievale dei luoghi deputati, nei quali l'ipotassi alla base del cinema narrativo tradizionale cedeva il passo alla paratassi. Tale ispirazione diventa quanto mai esplicita nella sequenza in cui lo scontro tra Gawain e il Cavaliere Verde viene messo in scena, per il pubblico ludibrio, tramite il teatro dei burattini o nelle insistite inquadrature, in dettaglio, di affreschi dalla netta estensione in orizzontale, proprio in conformità con il suddetto spettacolo tipico del periodo.
Altrettanto in linea con questa forma teatrale così lontana dalla compostezza delle unità aristoteliche risulta anche la strisciante e costante compresenza della dualità: sacro e profano, dovere e piacere, Cristianesimo e Paganesimo danno vita a una costante tensione che da un lato ben esemplifica la tensione tipicamente adolescenziale di un bambino che sta per diventare adulto, dall'altro suggerisce anche lotta ancora molto attuale tra civilizzazione e stato di natura. Recuperando una dialettica molto cara alla filosofia di Jean-Jacques Rousseau, Lowery esemplifica tramite le figure opposte dei contendenti alla sfida di Natale i poli opposti di uno scontro che travalica i secoli come quello tra le regole e i vincoli imposti dalla società umana e la libertà, selvaggia e forse anche per questo spaventosa, della vita allo stato brado, fatta di istinti basici resi ancor più proibiti dalla rigidezza dell'etica cristiana. Il confronto finale tra l'aspirante cavaliere e il suo soprannaturale nemico, con la presa di coscienza ottenuta in seguito a un lungo sogno premonitore, sembra proprio alludere all'importanza nella formazione di un individuo realmente maturo della scoperta di tutta quella parte inconscia, scevra dalle limitazioni imposte dalla società civile, che forgiano l'uomo, rendendo anche tutt'altro che un semplice vezzo sensazionalistico l'inquadratura (già cult o scult a seconda dei punti di vista) dello sperma sulla cintura magica donata all'eroe dalla madre prima e da una conturbante nobildonna (Alicia Vikander) dopo.
Sir Gawain e il Cavaliere Verde continua, in conclusione, il percorso cinematografico intrapreso dal proprio autore in bilico tra omaggio ai maestri della New Hollywood (Malick, Coppola, Lucas ecc.) che lo hanno formato e una spiccata personalità poetico-stilistica che riesce a gettare una luce nuova su temi e topoi secolari. Forse non la miglior traduzione filmica del ciclo arturiano ma certamente una delle più coraggiose e coerenti con una determinata idea di cinema e scusate se è poco di questi tempi.
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