All'imbrunire di un periodo storico che definire crepuscolare sarebbe sin troppo poco esauriente, al netto delle problematiche di ogni sorta con cui lo stesso ha obbligato tutti noi a fare i conti, il Marvel Studios di disneyana proprietà è riuscito finalmente ad operare la distribuzione (anche) cinematografica del primo film della cosiddetta “Fase 4” del proprio progetto multi/transmediale MCU (Marvel cinematic Universe).
Black Widow, (Cate Shortland, 2021), rappresenta infatti il primo tassello di un più ampio quadro atto a riconquistare la dimensione che in tempi recenti ha permesso alla Disney di rinnovare il concetto di serialità, quella sala cinematografica che, proprio grazie alle numerose e variegate traduzioni filmiche delle epopee in singolo o in gruppo dei supereroi della Marvel Comics, ha incontrato una nuova fase “attrazionale” della propria storia.
Distribuito in sala e sulla piattaforma di proprietà, Disney +, quale primo lungometraggio successivo al campione di incassi vero e proprio turning point diegetico e produttivo Avengers: Endgame (Anthony & Joe Russo, 2019), in contingenza delle serie televisive WandaVison (Jac Schaffaer, 2021), The Falcon and The Winter Soldier (Malcolm Spellman, 2021) e Loki (Michel Waldron, 2021), Black Widow rappresenta anche l'esordio in solitaria dell'eroina Natasha Romaoff a cui presta il volto un'ultima volta la star Scarlett Johansson.
Co-protagonista di quasi tutte le pellicole corali legate al gruppo degli Avengers (senza comunque disdegnare incursioni più o meno significative anche in opere dedicate a singoli personaggi del MCU), la Johansson dà qui addio al suo alter-ego proprio al termine della prima e unica avventura totalmente dedicataria: Eros e Thanatos, principio e fine pertanto, in un susseguirsi di concetti archetipici su cui la pellicola non manca di fare solido affidamento.
Ambientata subito dopo gli eventi di Captain America: Civil War (Anthony & Joe Russo, 2016) l'avventura di Vedova Nera si pone pertanto quale prequel in merito alla narrazione orizzontale generale dell'universo Marvel, (al netto delle già citate serie tv più recenti), rendendo, conseguentemente, diegeticamente credibile e finanche fruibile lo svolgersi stesso degli eventi. Pandemia mondiale, nuclei ideali ancestrali e plausibili situazioni catartiche rappresentano pertanto un novero di identità formative indirizzanti della pellicola, sia per quanto concerne la vicenda produttivo-logistica che, ancor più, l'aspetto più prettamente tematico-narrativo.
Il succedersi degli eventi, muovendo le proprie leve, in medias res, subito dopo la fratricida guerra tra eroi che aveva visto la creazione di due fazioni contrapposte tra loro, ci immerge tra le conseguenze della scelte operata dalla Romanoff, ormai considerata una sorta di terrorista internazionale dalle autorità chiamate a vigilare sulla moralità delle azioni del gruppo dei “Vendicatori”. Tra le pieghe di un futuro sempre più incerto riemergono, come spesso capita, inesorabilmente elementi fondativi del passato, utili finalmente a fare maggiore luce sul background del personaggio della Johansson: infatti la pellicola ci mostra finalmente la “famiglia d'origine” della protagonista, rendendo manifesto allo spettatore alcune delle ragioni che ne hanno motivato le successive scelte. Quella che nei primi minuti sembra incarnare i clichè più classici della famiglia tradizionale delle cultura statunitense, col susseguirsi del racconto si rivela in realtà un bluff: il focolare d'infanzia di Vedova nera altri non è che un team sotto copertura, assemblato dalle autorità sovietiche quale modus operandi risolutivo all'infiltrazione in territorio nemico.
In ossequio alla tradizione in materia di narrazione identitaria di “origin story” riguardanti personaggi fumettistici e non, dopo un lavoro analettico atto appunto a chiarire alcuni particolari narrativi della vicenda, la Romanoff dovrà successivamente affrontare letteralmente i demoni provenienti dal proprio passato. Dovendo far fronte ad un climax crescente e trovandosi in virtù di ciò costretta, suo malgrado, a ricostituire il proprio mendacio nucleo familiare, Vedova Nera riuscirà finalmente a sconfiggere la propria nemesi Dreykov (la cui vicenda serve da collegamento atto a gettare nuova luce narrativa e concettuale al rapporto intercorso tra la protagonista e l'agente Clint Burton di Jeremy Renner), tornando a sperare in un futuro più roseo, esemplificando i primi seminali elementi della ricostituzione del gruppo dei Venditori che la crisi senza precedenti narrata in Avengers: Infinity War (Anthony & Joe Russo, 2018) renderà quanto mai necessaria.
Dalla doverosa messa in evidenza dei salienti avvenimenti che nutrono la linea narrativa, appare lampante il fatto che le contingenti tematiche principali trovano proficua ragion d'essere proprio nelle già citate concezioni ataviche di famiglia, della contrapposizione tra passato e presente (e le conseguenze dirette sul futuro) e la lotta tra le spinte vitalistiche e le derive mortuarie. L'intera linea narrativo-tematica di Black Widow ruota attorno a quel che può, a ragion veduta o meno, rappresentare un archetipo dell'idea di famiglia, la quale, durante il susseguirsi degli eventi, vive un susseguirsi di fasi identitarie spesso antitetiche.
Se infatti il primo flashback gioca volutamente con i codici congeniali del racconto borghese (con voluti e coerenti rimandi al dramma d'interni di derivazione teatrale), dipingendo, in un primo momento, un quadro d'insieme dove i rapporti tra i personaggi vivono di coppie speculari (sorella-sorella e padre-madre) e dove l'escalation negativa trova origine apparentemente proprio dalle azioni del patriarca, il twist narrativo che svela la natura ingannevole dell'architettura familiare descritta introduce gioco-forza l'iter de-strutturante di quanto avanzato in precedenza.
Il percorso di de-strutturazione delle dinamiche familiari della pellicola procede in realtà in maniera speculare e dicotomica con quelle che sono le peculiarità più salienti dello stesso personaggio di Natasha Romanoff: disillusione e assenza di empatia insiti in Vedova Nera conoscono adesso una nuova ragion d'essere che ne ricolloca i confini, affidando una nuova chiave di volta anche al concetto di catarsi.
Natasha Romanoff trova pertanto la forza di ricostruire la propria identità e, conseguentemente, rinascere quale figura umana a 360 gradi, dotata di emozioni, al netto di virtù e debolezze come qualsivoglia persona comune, solo dopo aver affrontato una allegorica morte trascendente: solo l'accettazione di un passato ebbro di sofferenza e tragedia permette a Vedova Nera di carpire la portata della propria identità, consentendole in seguito di possedere quella maturità e quell'equilibrio interiore atto a permetterle di vivere il proprio sacrificio finale (Avengers: Endgame) quale più nobile e puro slancio vitalistico plausibile.
In un periodo storico tanto delicato come quello in cui Black Widow ha visto concretizzarsi il proprio progetto, le tematiche ataviche, concilianti e, in una certa misura, catartiche portate avanti dalla pellicola non possono che sposarsi a meraviglia con il contesto socio-culturale del pubblico generalista e pertanto, nonostante la componente registica non evidenzi particolarismi degni di nota, (affidando la magniloquenza visiva soprattutto alle fin troppo numerose sequenze d'azione), la pellicola porta in fin dei conti a termine in maniera dignitosa il proprio compito: l'avventura in solitaria di Vedova Nera rappresenta infatti, al contempo, una compiacente chiusura di un cerchio circonciso e, in contingenza, n un piccolo passo verso il proseguo della narrazione seriale cinematografica della casa di Topolino.
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