Uno degli aspetti del cinema che più continua a colpire lo spettatore è certamente la sua capacità di ribaltare gli orizzonti d'attesa. Credo che almeno il 90% degli appassionati leggendo insieme i nomi di Platinum Dunes, casa di produzione fondata da Michael Bay nota soprattutto per remake horror in gran parte dimenticabili, e John Krasinski, attore e regista coinvolto perlopiù in commedie indie, associati a una pellicola dell'orrore abbia pensato a un matrimonio tutt'altro che felice e invece i fatti hanno dimostrato che A Quiet Place (2018) è proprio una lieta sorpresa. Diretto e interpretato proprio da Krasinski, autore peraltro anche della sceneggiatura, il film è uno strepitoso successo commerciale, con più di 300 milioni di dollari incassati a fronte di una ventina di budget, capace di convincere anche la critica di tutto il mondo, tanto da guadagnarsi numerosi premi e persino una nomination agli Academy Awards (cosa piuttosto rara per una pellicola di genere).
Ambientato in un 2020 post-apocalittico, il lungometraggio segue la lotta per sopravvivere di una famiglia americana composta dai coniugi Lee (John Krasinski) ed Evelyn Abbott (Emily Blunt) e dai figli Regan e Marcus. A causa dell'improvvisa comparsa di creature aliene cieche, ma dotate di incredibile udito e di una pelle resistente come una corazza i protagonisti sono costretti a vivere in perenne silenzio, limitando più possibile qualunque tipo di suono. Alla tensione scaturita da tali condizioni si uniscono i problemi che si acuiscono tra Lee e Regan, specialmente in seguito alla morte di Cade, il più piccolo della famiglia, ucciso da uno dei mostri dopo aver azionato i rumori di un giocattolo datogli proprio dalla sorella maggiore.
I Depeche Mode cantavano il piacere del silenzio, così come gli Starsailor la sua semplicità e in un mondo in cui l'inquinamento acustico, il chiacchiericcio, spesso sterile, è ormai un basso continuo la rinuncia ai rumori potrebbe sembrare una liberazione; un atto di ribellione estrema contro la deriva mostruosa dell'azione dell'uomo sulla natura. Seguendo questa logica si potrebbe arrivare a immaginare gli spaventosi alieni di A Quiet Place, dei quali non viene rivelata l'origine e del cui sbarco sulla Terra pochissimo viene accennato, come una punizione divina nei confronti della hybris umana e dello scempio subito dal nostro pianeta. Certamente questi sottotesti tipici del filone più ecologico dell'horror, quello proliferato in seguito allo straordinario Uccelli di Alfred Hitchcock (The Birds, 1963), non sono sfuggiti a Krasinski durante l'adattamento del soggetto di Bryan Woods e Scott Beck, vista anche la pletora di citazioni di genere presenti all'interno dell'opera, ma il silenzio che mostra il regista statunitense non è solamente quello imposto dai famelici extraterrestri, ma è soprattutto quello sviluppatosi all'interno di ciò che resta della tipica famiglia occidentale. I codici di genere diventano dunque dei mezzi attraverso cui l'autore di The Hollars (2016) racconta qualcosa di ben più familiare al nostro presente e che era già al centro dei suoi precedenti lavori. Gli Abbott, in seguito agli avvenimenti tragici del prologo, si rivelano una famiglia inequivocabilmente stoica e capace nell'adattarsi alla realtà nella quale è costretta a vivere, eppure al suo interno è dilaniata da una sorta di peccato originale: la dipartita di Cade. Regan, già resa diversa dalla sordità, si trova a convivere con il senso di colpa causato dall'aver concesso, di nascosto, al fratellino il giocattolo che tanto voleva ma che ne ha poi segnato la morte, così come suo padre e sua madre sentono di non aver protetto come avrebbero dovuto il più fragile dei figli. Una situazione in cui il silenzio imposto dalle creature rende ancor più acuto il dolore e la distanza che separa i membri della famiglia, in particolare Lee e la sua secondogenita.
Come nel grande cinema di genere Krasinski plasma tutti i suoi topoi per adattarli a delle tematiche che gli sono particolarmente congeniali e non a caso nel ruolo dei due genitori si trovano proprio il regista e la bravissima Emily Blunt, sua consorte anche nella vita al di là della macchina da presa. Un ponte tra diegesi e mondo reale che permette alla coppia una resa della quotidianità alterata degli Abbott particolarmente convincente, come dimostra il lirismo della scena in cui marito e moglie improvvisano un ballo tanto dolce quanto malinconico sulle note (rigorosamente in cuffia) di Neil Young. Tale stratificato ritratto familiare risulta però così riuscito anche grazie all'efficacia con cui il cineasta americano, alla sua prima incursione nel genere, costruisce la tensione e in generale i meccanismi tipici del racconto orrorifico. Tra momenti da home invasion e richiami alle disperate fughe dallo xenomoformo viste in Alien (Ridley Scott, 1979), la pellicola cattura in primis proprio in quanto tesissimo esempio di horror contemporaneo, alla cui felice riuscita contribuiscono le splendide composizioni di Marco Beltrami e una cura per la composizione delle inquadrature che ricorda, ancora una volta, proprio Ridley Scott.
Con un sequel che dovrebbe arrivare nelle sale quest'anno, A Quiet Place ha permesso al grande pubblico di scoprire in John Krasinski un talento che pochi avrebbero immaginato di tale livello dietro la cinepresa. Un'ulteriore prova della salute del panorama horror americano, tutt'altro che arenatosi in quel limbo di remake e reboot di cui si faceva foriera proprio la Platinum Dunes.
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