Nella mente di molti, sia appassionati che giornalisti, un biopic tra le mani di Clint Eastwood equivale a un pamphlet di americanismo e retorica conservatrice, per non dire fascista, a causa delle sua tutt'altro che velata antipatia nei confronti dei democratici. Tralasciando la miopia, per non dire stupidità, che può portare qualunque persona sana di mente ad affibbiare l'appellativo di fascista a un uomo che ha girato uno dei più sensazionali manifesti antirazzisti nella storia del cinema (Gran Torino, 2008), basterebbe la visione di Sully per smentire l'idea accennata qualche riga fa. Diretto dall'ex star di Il buono, il brutto, il cattivo (Sergio Leone, 1966), il film in questione ha in realtà conquistato quasi all'unanimità la critica di tutto il mondo e incassato grandi cifre anche al box office, confermando come, al netto delle polemiche, il cinema eastwoodiano continui a fare breccia in ogni tipo di spettatore.
La pellicola racconta le vicende immediatamente successive al miracoloso atterraggio di emergenza effettuato dal pilota di linea Chesley Sullenberger (Tom Hanks) sul fiume Hudson nel 2009. Acclamato dai media e dalle persone comuni per aver salvato tutti i passeggeri del volo, il capitano viene però messo sotto inchiesta dall'ente aeronautico statunitense poiché, secondo i simulatori e i dati forniti dagli ingegneri, la rischiosissima manovra da lui effettuata sarebbe potuta essere evitata, in favore di un meno azzardato atterraggio su una delle piste vicine. Il copilota Skiles (Aaron Eckhart), così come sua moglie o i tanti cittadini che incontra per le strade di New York, sono convinti che Sully abbia svolto egregiamente il proprio compito ma egli stesso inizia a vacillare dinanzi alle accuse e allo shock provocato dall'incidente.
Da decenni ormai Eastwood, complice anche la sua carriera da attore, riflette attraverso il suo cinema sulla figura dell'eroe, caposaldo del classicismo hollywoodiano ma soprattutto di tutta la cultura americana, e Sully non fa eccezione. Come nelle pellicole precedenti, il cineasta di San Francisco rielabora la visione prettamente individualista dell'epica statunitense e dunque dell'eroe solitario depauperandola di ogni mitizzazione aristocratica, di ogni aura sacrale: l'Odisseo, il John Wayne estwoodiano è in primis un uomo comune, un working class hero, citando John Lennon, che si caratterizza in primis proprio per l'etica del lavoro, qualunque tipo di mansione egli svolga. Attraverso opere come Gli spietati (Unforgiven, 1992), Flags of Our Fathers (2006) e American Sniper (2014) l'autore aveva già decostruito i principali miti costitutivi USA, ossia quello del cowboy e quello del soldato, ma è con la pellicola in analisi che offre la pars construens della sua riflessione. Il pilota interpretato magistralmente da Tom Hanks, già affermatosi in precedenza come emblema dell'uomo qualunque, soffre nel corso di tutto il film un disagio causato non solo dalle accuse ricevute o dal ricordo del disastro al quale è scampato ma, in prima istanza, dall'essere ritenuto un eroe senza avere niente di ciò che per un americano lo rende tale. Per l'esperto capitano ciò che ha fatto rientra semplicemente nei propri doveri di cittadino facente parte di una comunità e di lavoratore onesto, dedito alla propria mansione come lo è un fedele dinanzi al proprio Dio. Sully per Eastwood rappresenta dunque una sorta di novello Enea, eroe non della forza come Achille o dell'eros come Giasone, bensì della pietas, del rispetto verso i suoi oneri. Questo è il vero eroe secondo il regista di Mystic River (2003).
Come la fiaba ci insegna a ogni eroe si contrappone un antagonista, un ostacolo da superare perché possa tornare a vivere una situazione di equilibrio. Quasi sempre nella filmografia dell'autore californiano il "nemico" assume le sembianze di un rappresentante della legge o delle istituzioni in genere e anche in questo caso il director resta fedele alla propria poetica. Se la stragrande maggioranza dei cittadini, compresi quelli che effettivamente si trovavano a bordo dell'aereo, vedono in Sully un esempio da seguire, un uomo che avuto la prontezza e la capacità di fare la cosa giusta in una situazione di emergenza, l'ente aeronautico e alcuni giornalisti insinuano il dubbio che in realtà l'uomo abbia solo avuto fortuna dopo aver sbagliato manovra e, anzi, proprio l'NTSB pare non limitarsi a delle indagini di routine ma sembra voler incriminare a tutti i costi il capitano. Da dove nasce la sicurezza di quest'ultima circa la colpevolezza del pilota? Dai dati ottenuti attraverso i simulatori. Ecco che in questo modo la contrapposizione classica nel cinema di Eastwood tra eroe solitario e legge ingiusta assume i toni anche della dialettica uomo vs macchina, istinto vs calcolo matematico, mondo reale vs digitale. In un mondo sempre più votato alla disumanizzazione in favore della digitalizzazione di qualunque oggetto, momento o ambito, compreso il cinema, l'eroe ricorda a coloro che insinuano la sua colpevolezza come sia impossibile cogliere la realtà immanente, fisica, potremmo dire analogica, senza considerare proprio il fattore umano. Fallibilità, incertezze, senso di responsabilità, esperienza accumulata sono tutti ingredienti che nessuna macchina o aggregazione di bit può riprodurre. Compito dell'eroe eastwoodiano è dunque anche quello di svelare l'artificio dietro ai simulacri che investono le nostre esistenze ventiquattro ore su ventiquattro e in ogni luogo. A salvare più di centocinquanta persone da morte certa non è stato un dispositivo digitale ma l'azione in sinergia di un manipolo di uomini dediti al proprio lavoro e alla comunità in cui vivono, la perfetta coordinazione di piloti, assistenti di volo, passeggeri, soccorritori ecc.
Con Sully per la prima volta dopo anni di terrore un aereo che subisce un incidente a New York diventa un simbolo di vita e di speranza, all'insegna di un'umanità che non può essere soppiantata dai simulacri digitali, non a caso protagonisti invece di quell'11 settembre in cui gli aeroplani furono veicoli di morte e della conseguente tensione generale.
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