Ogni volta che si parla di remake o reboot orde di "fan" si scagliano contro il nuovo in difesa del vecchio, seguendo una fantascientifica forma mentis per la quale un nuovo adattamento di una storia debba cancellare quello preesistente. Chissà cosa ne avrebbero pensato gli ateniesi che ogni anno assistevano all'ennesima versione del mito di Ifigenia o del patricidio di Oreste ai danni di Agamennone. Fatto sta che Hollywood, come ha d'altronde fatto fin dagli albori della sua centenaria storia, continua imperterrita nel riproporre personaggi o vicende già viste e amate dal pubblico e, dato che il fenomeno commerciale di maggior rilievo degli anni Dieci del terzo millennio è senza dubbio il cinecomic, il 2019 riporta sugli schermi Hellboy con l'omonimo film diretto da Neil Marshall. Ispirato a un mix di alcuni archi narrativi del fumetto partorito da Mike Mignola nel 1994, il lungometraggio si rivela immediatamente un insuccesso sia di critica che di pubblico, scontando principalmente il confronto con Hellboy (2004) ed Hellboy II: The Golden Army (2008), realizzati da quel Guillermo Del Toro che nel frattempo è divenuto (finalmente) un autore pienamente riconosciuto da qualunque tipo di fruitore filmico.
Procedendo attraverso una rivisitata formula narrativa da origin story, la pellicola mette in scena la lotta di Hellboy (David Harbour) per salvare l'Inghilterra e il mondo intero dalla minaccia causata dalla resurrezione della strega Nimue (Milla Jovovich). Per farlo il mezzo demone adottato dal leader del B.P.R.D. (una sorta di esercito che lotta in segreto contro i mostri) Trevor Buttenholm (Ian McShane) si trova a dover collaborare con Alice (Sasha Lane), una ragazza che aveva salvato da neonata dalla minaccia di un changeling e adesso dotata di grandi poteri da medium, e Ben Daimio, altro membro del B.P.R.D. estremamente in collera nei confronti delle creature sovrannaturali.
Trovo assolutamente superflui i confronti agonistici tra i diversi adattamenti di un racconto (figuriamoci quando poi parliamo di media diversi come, per esempio, romanzo e film) e dunque mi preme dire immediatamente che per apprezzare questo Hellboy è fondamentale dimenticarsi per due ore di aver visto i due lungometraggi di Del Toro perché ci troviamo dinanzi a opere completamente diverse. Senza lanciarmi in dialettiche con il fumetto d'origine, che ahimè conosco poco rispetto all'universo DC, circa la maggiore o minore aderenza allo stile di Mignola mi pare evidente come la pellicola in analisi trasudi Neil Marshall da tutti i pori (o quasi), cineasta che in comune con il messicano precedentemente citato condivide probabilmente solo la passione per il cinema di genere. Certo alcune tematiche che costituiscono le fondamenta del personaggio restano in entrambe le controparti filmiche, in primis la conflittualità con il padre di sapore adolescenziale e la sua essenza di outsider incompreso sia dagli umani che dai mostri, ma il regista inglese relega allo sfondo ogni chiave di lettura prettamente psicologica o allegorica per portare al centro dell'attenzione l'azione brutale, il gore e la variegata mole di mostri già vista su vignette. Persino la scelta di esplicare attraverso rapidi flashback gli antefatti della nascita e del rapporto tra il possente demone rosso e il genitore adottivo trova la propria ragion d'essere nell'impostazione narratologica e stilistica da vero e proprio b-movie: un vortice di azione, cambi di location, battute tutt'altro che politicamente corrette e litri di sangue che riporta alla mente il background da regista horror di Marshall e la sua passione i generi da grindhouse. Date queste premesse risulta ovvia la preminenza dello stile sulla stratificazione del racconto e dunque, come in una giostra iperviolenta, la regia dell'autore di The Descent (2005) riesce a rendere digeribili personaggi abbozzati ed ellissi piuttosto ampie grazie a sequenza di lotta tanto furiose quanto spettacolari per i movimenti di macchina, certamente aiutati dalle tecnologie digitali ma raramente visti nell'attuale panorama blockbuster, come ad esempio i notevoli long take durante i quali il protagonista uccide ben tre giganti. Proprio la CGI in realtà mostra il fianco a qualche critica a causa di un effetto visivo tutt'altro che all'altezza di quanto visto nel MCU ma, in una produzione di medio livello per gli standard hollywoodiani come questa e per la sua ostentata caratura sopra le righe, non credo che arrivi mai a inficiare sul grado di coinvolgimento dello spettatore e neanche sulla resa visiva delle sequenze stesse, anche se da un cineasta cresciuto a pane e horror low budget mi sarei aspettato un maggiore ricorso a effetti protesici o a escamotage capaci di mescolare analogico e digitale. A tal proposito la comparsa della vecchia strega Baba Yaga, resa possibile dalla performance capture di una contorsionista, risulta, proprio per l'inventivo mix di CGI e trucchi tradizionali una delle scene migliori della pellicola, portando all'apice lo spirito goliardico e genuinamente splatter della stessa.
Purtroppo difficilmente vedremo un seguito di questo Hellboy, sebbene le scene post-credit fungessero da trailer per una nuova avventura di Harbour nei panni dell'antieroe, ma anche come singolo lavoro il film resta un godevole divertissement; due ore di divertimento puro e semplice, come un pezzo heavy metal pensato esclusivamente per il mosh durante un concerto. In mezzo a tanto cinema da festival e film ad alto budget costretti a scimmiottare il metodo Feige, ben vengano i Neil Marshall che girano ancora lavori fieramente di serie b ma ricchi di personalità e di una mano immediatamente riconoscibile.
Piccolo satellite orbitante attorno al pianeta Cinema ma con la forte attrazione anche per le altre arti e in particolare per quelle che più segnano la nostra contemporaneità: fumetto, videogame ecc. Fondamentale per me è che chi scriva qui abbia assoluta cognizione di causa (io ad esempio possiedo una laurea triennale al DAMS e una magistrale in scienze dello spettacolo). Auguro buona lettura e buona riflessione a chiunque voglia fermarsi su questo sperduto satellite della settima arte.
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