Nel 2014 il britannico Gareth Edwards aveva compiuto, con insperato successo, una missione ritenuta estremamente improba, specie dopo l'indignazione collettiva nei confronti della pellicola diretta da Emmerich nel 1998: adattare al cinema occidentale Gojira, il mostro per eccellenza del Giappone post-atomico. Il Godzilla del regista di Monsters (2010) era riuscito a mettere d'accordo sia pubblico che critica, tanto dal convincere Toho e Warner a creare un universo esteso, in stile MCU, nel quale inserire anche King Kong, tramite Kong: Skull Island (Jordan Vogt-Roberts, 2017). Da circa un paio di settimane si trova nelle sale di tutto il mondo Godzilla II - King of the Monsters (Godzilla: King of the Monsters), sequel diretto stavolta da Michael Dougherty, autore anche della sceneggiatura. Purtroppo per le ambizioni di questo progetto proprio lo script in questione risulta essere il bersaglio prediletto della critica, mentre il pubblico pare stia apprezzando maggiormente l'opera, sebbene i numeri del botteghino siano ancora non del tutto soddisfacenti.
Dopo un prologo ambientato durante la devastante battaglia svoltasi a San Francisco tra Gojira e i MUTO vista nel prequel, il lungometraggio mostra le diverse reazioni nel mondo alla convivenza con i titani (i mostri di dimensioni colossali riconducibili al già citato esemplare risvegliato dai test nucleari nell'Oceano Pacifico), tra cui in particolare la lotta della Monarch (organizzazione sovranazionale guidata dal dottor Serizawa, interpretato ancora da Ken Watanabe) per studiare e permettere a questi esseri di convivere pacificamente con l'umanità e le pretese del governo statunitense di distruggerle. In questa dialettica si inserisce a sorpresa un esercito di ecoterroristi che, con la compiacenza della dottoressa Emma Russell (Vera Farmiga), si impossessa di un dispositivo in grado di comunicare con i titani. Per ritrovare il prezioso congegno, la sua creatrice e la figlia Madison (Millie Bobby Brown) la Monarch recluta il marito di Emma, Mark (Kyle Chandler), in quanto esperto di suoni e comunicazione all'interno del regno animale ma la missione si complica ulteriormente quando i terroristi risvegliano Ghidorah, l'unico predatore in grado di rivaleggiare con Gojira.
Inutile girarci intorno, questo Godzilla II - King of the Monsters, come in realtà molti sequel in ambito blockbuster, rinuncia, più o meno volontariamente, all'attenzione rivolta dal prequel nei confronti dei suoi protagonisti umani; o meglio decide di puntare maggiormente sullo spettacolo offerto dallo scontro tra mostri rispetto all'esplorazione sottile ed emotivamente potente dell'impatto sulle vite degli umani della comparsa di queste creature. Questo non si traduce però, come affermato da molti recensori, in un totale abbandono della dimensione umana del racconto o in una deficienza dello stesso. Dougherty, confermando la scelta appena menzionata, costruisce la narrazione attorno ai temi del sacrificio e della redenzione creando un parallelo continuo tra Mark e Gojira, i due veri e propri protagonisti del film. Inizialmente l'atteggiamento del ricercatore si dimostra ostile verso il titano, individuato dall'uomo come causa della perdita del figlio e della disgregazione della sua famiglia e per questo ostenta un rancore che ricorda per certi versi quello che il capitano Achab rivolge verso Moby Dick ma la lotta del mostro per difendere la specie umana, insieme al sempre più stretto rapporto instaurato con Serizawa, finisce per donargli la forza di perdonarlo e, insieme, di accettare finalmente le tragedie della sua vita, così da poter riallacciare un rapporto reale con la figlia. Il travaglio psicologico della famiglia Russell viene però relegato a un piano minore rispetto alle vicende dei titani, fino al punto di ricorrere in maniera costate a battute di spirito per spezzare i momenti che tendono maggiormente al sentimentalismo o alla riflessione morale. Il regista di Krampus (2015) sembra in questo modo voler evitare a tutti i costi una lettura eccessivamente intellettualistica del film ma, al contempo, mettere in chiaro come per lui le creature siano il vero fulcro dell'opera: non a caso è ancora una volta Gojira il salvatore della Terra, con tanto di parabola morte-resurrezione tipicamente cristologica (ucciso da un colpo a tradimento dell'esercito americano, torna in vita avvolto da una luce che non può non ricordare l'iconologia dello spirito santo), e soltanto la presa di coscienza della necessità di porre la fiducia dell'uomo in questo essere gigante porta alla sconfitta di Ghidorah. Da questo punto di vista il personaggio che realmente spicca risulta proprio il dottore interpretato da Watanabe, vero e proprio apostolo del mostro benevolo, portatore di una fede più potente di ogni difficoltà o tornaconto egoistico che possa finalmente permettere all'uomo di riscattarsi (ancora una volta il tema della redenzione) dal ruolo di distruttore del proprio pianeta.
Un discorso a sé merita a questo punto il lato puramente visivo del film. Comprensibilmente infarcito di computer grafica, il lungometraggio compie un lavoro di sincretismo estetico tra l'oscurità del predecessore, nel quale le maglie della notte finivano sempre ottenebrare la visione completa dei kaiju, e le tonalità pop, vivaci di Kong: Skull Island. Chiaramente in un'opera che si fonda sulla gioia dei fan di poter vedere finalmente combattere mostri iconici, con la spettacolarità assicurata dalle tecnologie odierne, avvolgere eccessivamente queste figure come nel prequel sarebbe stato controproducente e dunque Dougherty ricorre sovente a nebbie e tempeste per mantenere una certa aura di mistero e allo stesso tempo mostrare i titani in tutta la magnificenza di una cgi davvero ben realizzata ma sono molteplici anche i momenti in cui, tra raggi supersonici ed esplosioni nucleari, la regia non lesina su colori estremamente accesi che abbagliano lo spettatore come nelle ambientazioni metropolitane di qualche capitolo della trilogia dedicata a John Wick. Sebbene manchi forse di una certa dose di coraggio nel scegliere una strada originale, è innegabile come il lato formale della pellicola colpisca il bersaglio prescelto, ricorrendo peraltro (come una larghissima fetta dei blockbuster americani e non solo) alle riprese a mano dal basso verso l'alto e i rapidissimi zoom introdotti da Zack Snyder in L'uomo d'acciaio (Man of Steel, 2013) per amplificare la sensazione di impotenza umana dinanzi a una catastrofe in grado di dissolvere in pochi minuti metropoli intere.
Chiunque cerchi un prodotto molto raffinato o la narrazione al primo posto potrebbe sicuramente storcere il naso alla visione di questo Godzilla II - King of the Monsters ma coloro che amano i kaiju, lo spettacolo della sala cinematografica e l'emozione dell'hic et nunc troveranno un prodotto in grado di accontentarli, anche se senza eccellere.
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