Tutti conoscono Ben Affleck, non tutti lo apprezzano ma è innegabile che sia tra i volti più riconoscibili di Hollywood. Tralasciano le solite, sterili disquisizioni circa la bravura dell'attore (gran parte dei detrattori mi pare che seguano uno dei tanti luoghi comuni di cui vivono i social network, specie quando si tratta di individui che posizionerebbero Stanilavskij in cabina di regia dello Shakhtar Donetsk) ciò che non tutti sanno è che da circa dieci anni il premio Oscar per la sceneggiatura di Will Hunting - Genio ribelle (Good Will Hunting, Gus Van Sant, 1997) siede stabilmente anche dall'altra parte della cinepresa e con risultati tutt'altro che banali, come dimostra la vittoria proprio agli Academy Awards della statuetta per il miglior film del suo Argo (2012). Oggi però voglio soffermarmi sul suo esordio al lungometraggio: Gone Baby Gone, scritto, diretto e prodotto dallo stesso Affleck nel 2008, con tanto di buoni incassi e un responso entusiasta della critica, sorpresa dalla qualità del passaggio alla regia di un interprete così controverso e discontinuo.
Tratto dall'omonimo romanzo scritto da Dennis Lehane nel 1998, il film ruota attorno alla sparizione a Boston di Amanda McCready, bambina di circa quattro anni. A tre giorni dall'accaduto appare chiaro come la piccola possa essere stata rapita e dunque il caso finisce per attirare la stampa oltre al capitano della sezione della polizia dedicata proprio ai rapimenti Jack Doyle (Morgan Freeman). Mostrandosi ben più preoccupata della madre della bimba, Helene (Amy Ryan), la zia si rivolge alla coppia di investigatori formata da Patrick Kenzie (Casey Affleck) e Angie Gennaro (Michelle Monaghan) che, dopo qualche tentennamento, decidono di accettare l'incarico, convinti di poter muoversi con più agilità rispetto alla polizia tra le strade della città.
La storia del cinema è ricca di luoghi topici, città che entrano nell'immaginario collettivo divenendo portatrici di un certo carico di significati, situazioni narrative e aspettative nel pubblico. Se oggi Boston può essere considerata una di queste città lo deve sicuramente all'importanza che assume in The Departed di Scorsese (2006) ma in buona parte anche alle regie di Affleck, a cominciare proprio da Gone Baby Gone. Il suo esordio dietro la macchina da presa eredita dal materiale d'origine costituito dal romanzo omonimo molte suggestioni di carattere etico e la costruzione psicologica della coppia di detective privati ma l'idea e la qualità con cui la capitale del Massachusetts viene porsi come personaggio di primaria importanza appartiene completamente al regista. L'ormai ex Batman dimostra una conoscenza profonda di questa città nella quale ha vissuto e una sensibilità notevole nel mostrarne alcune peculiarità che la distinguono dalla onnipresente New York o dall'altrettanto cinematografica Los Angeles: la presenza di una forte componente cattolica e l'intricato sottobosco di criminalità comune, quotidiana perennemente in bilico tra la legge del più forte e un codice morale strettamente connesso con la fede. Se nelle due metropoli citate il malaffare è una questione in gran parte riconducibile o alle losche manovre di grandi potenze finanziarie o a circoscritti quartieri afflitti da degrado ed emarginazione, la Boston di Affleck si avvicina maggiormente a quel territorio campano visto in Gomorra di Garrone (che per uno strano scherzo del destino esce proprio nello stesso anno). Con le province di Napoli e Caserta, rese poi immediatamente riconoscibili da molti neo-noir degli ultimi anni, la città statunitense sembra condividere quella banalità del male, una versione del crimine che non possiede niente di glamour, non ispira rispetto ma semplicemente finisce per essere accettato come parte integrante della società locale. Spacciatori, piccoli boss e gli immancabili scontri per la spartizione del territorio finiscono per diventare la quotidianità, combattuta dalla polizia ma con la consapevolezza di essere invischiata in una guerra infinita, così come anche chi vive rigando dritto finisce sempre per dover sporcarsi le mani di fango qualche volta. Patrick è un chiaro esempio di questa zona grigia nella quale vivono gli abitanti di Boston, dato che pur mostrando un carattere piuttosto introverso e altruista si rivela poi facilmente irascibile quando si tratta di difendere l'onore della compagna, gira armato come un teppista di strada, conosce tutti i piccoli criminali del luogo e lascia intuire un passato nel quale condivideva lo stile di vita di queste figure. Proprio come i personaggi dei neo-noir ambientati in Campania l'investigatore, interpretato con la sempre efficace recitazione per sottrazione di Casey Affleck, risulta uno dei tanti esseri umani costretti dalla milieu a non poter aspirare a un vero riscatto sociale e morale, a restare per sempre invischiato in un purgatorio nel quale vivono uomini e donne che delinquono perché privi di alternative; cresciuti in un microcosmo dai cui codici di comportamento è impossibile sottrarsi e che tende a chiudersi come un guscio rispetto al resto della nazione.
In questo quadro di società ermetica, impenetrabile da chiunque non vi sia nato e cresciuto (si pensi al primo incontro tra il protagonista e il poliziotto Bressant interpretato magistralmente da Ed Harris) assume un ruolo fondamentale la tradizione cattolica. Il fatto che la maggioranza degli USA professi una fede di tipo luterana o comunque protestante isola ancora di più nel suo guscio la cattolicissima Boston, rendendo ancora più interessante la riflessione morale circa il rapporto tra adulti e bambini e la giustizia che l'autore di The Town (2010) eredita dalla sua fonte letteraria. Affleck rilegge queste tematiche etiche attraverso il filtro del cattolicesimo e di come i suoi dettami finiscano in un contrasto dialettico di difficile risoluzione con la cultura americana, il manicheismo tipico del genere neo-noir e la violenza che imperversa gli States. Un uomo può dirsi nel giusto quando condanna a morte un mostro che abusa sessualmente di un bambino di sette anni oppure dovrebbe perdonare, come da comandamento di Cristo? Fino a dove può spingersi un essere umano per un fine nobile? Interrogativi che chiamano in causa l'antitesi tra Antico e Nuovo Testamento, il principe centauro di machiavelliana memoria fino al cinema di uomini duri di Clint Eastwood, sicuro punto di riferimento per molte tematiche ma soprattutto per un approccio formale neo-classico che si mantiene costante nel lungometraggio. La regia dell'esordiente Ben non indugia mai in movimenti di macchina arditi o particolari strappi estetizzanti, mantenendo un approccio di elegante rispetto dei codici classici, esaltato da colori plumbei adatti a esprimere l'indefinitezza morale dell'ambientazione.
Gone Baby Gone risulta una pellicola di grande impatto emotivo ed etico, girata con grande sicurezza da un esordiente e arricchita da un cast attorico diretto con la consapevolezza di chi sa come raccontare una storia e un luogo contemporaneamente. E scusate se è poco.
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