Andrej Zvjagincev è ormai più che una promessa del cinema europeo e dopo l'exploit mondiale di Leviathan (2014) conferma il proprio talento nel 2017 con Loveless. L'ultimo, a oggi, film del cineasta russo ottiene un immediato successo mondiale, coronato da riconoscimenti in tutti i festival più prestigiosi, dal premio della giuria a Cannes passando per gli European Awards fino alla nomination per il miglior film straniero agli Academy. Una vera e propria consacrazione.
Ambientato nel 2012, nel pieno dei deliri per la profezia dei Maya, il lungometraggio mostra l'incrinarsi sempre maggiore del rapporto tra Zhenya e Boris, una coppia sposata prossima al divorzio. I due hanno un figlio di dodici anni chiamato Alyosha che ignorano completamente, privandolo di ogni segno di affetto e anzi costringendolo ad assistere ai loro continui litigi. Una mattina i due genitori si rendono conto che il ragazzo manca da casa e scuola da almeno due giorni e così si affidano alla polizia per rintracciarlo ma le forze dell'ordine fanno capire, senza giri di parole, che non possono e non vogliono fare niente per aiutarli e che quindi l'unico modo per imbastire una ricerca accurata ed efficiente è rappresentata da un'associazione di volontari ben organizzati. Questi ultimi si mettono immediatamente a lavoro per ritrovare Alyosha, dovendo però fare i conti anche con le continue sfuriate tra Zhenya e Boris.
Come accade sempre più spesso nel cinema contemporaneo la sequenza d'apertura si rivela un vero e proprio prologo, una sintesi di straordinaria efficace di tutto ciò che contengono i minuti successivi del film: le lunghe e silenziose inquadrature dei paesaggi innevati mescolati ai fatiscenti edifici che occupano la solitaria esistenza del ragazzo in procinto di sparire mettono in luce non solo l'estetica raffinata di Zvjagincev ma l'intera poetica sottesa alla pellicola. La quasi totale assenza di figure umane che possano animare le costruzioni di chiara origine sovietica richiama immediatamente le insistite vedute dei desolati e desolanti spazi urbani della filmografia di Michelangelo Antonioni, capace come pochi di esternare semplicemente attraverso l'occhio della macchina da presa l'horror vacui della società postindustriale in opere quali La notte (1961) e L'eclissi (1962). Persino lo squallore architettonico di edifici come la scuola di Alyosha o dell'enorme palazzone abbandonato dove amava nascondersi con il suo migliore amico abbinato alla bellezza quasi eterea delle enormi distese di bianco candido formate dalla neve sui prati e gli alberi della tundra russa riportano alla mente le violenze arrecate al paesaggio ferrarese dalle industrie e i suoi variopinti scarichi in Deserto rosso. Insomma Loveless guarda senza mai nasconderlo alla produzione del maestro italiano ma non come semplice imitazione calligrafica di matrice postmoderna, bensì per comunicare in maniera ancor più inequivocabile allo spettatore come al centro del film vi sia un vuoto, un'assenza diffusa e quasi programmatica di umanitas. I due genitori protagonisti della tragedia messa in scena, complici anche le ottime interpretazioni di Maryana Spivak e Aleksey Rozin, certamente sembrano fare di tutto per innervosire e lasciarsi odiare dal pubblico ma la verità è che in fondo rappresentano persone comuni, un uomo e una donna come ce ne sono a milioni oggi, assorbiti completamente dallo schermo dello smartphone o dal lavoro mentre creano invece un incolmabile vuoto affettivo intorno a loro. Persino il sangue del loro sangue finisce per essere continuamente messo in un angolo e riemerge nei loro pensieri solamente al momento della scomparsa ma mai per un vero sentimento di mancanza o di preoccupazione. Alyosha per sua madre è solo un errore che le ha rovinato la vita mentre suo padre pare averlo già rimpiazzato con il figlio che sta per avere dalla sua nuova compagna.
La medesima assenza di umanità all'interno del nucleo familiare composto dai tre si riflette in realtà in tutti i rapporti interpersonali che riguardano i protagonisti, dalle relazioni con i nuovi rispettivi compagni ai conflitti tra Zhenya e sua madre, così come assolutamente priva di pietas e qualsivoglia intenzione di adempiere al proprio dovere si rivela la polizia, interessata solamente a liberarsi di qualunque scomodo compito sul quale lavorare. Questo esteso oblio di qualunque forma di umanità appare una chiara accusa del regista verso l'intero apparato sociale del proprio paese, come testimoniano i frequenti riferimenti all'attualità politica veicolati da televisioni o autoradio. Sicuramente la Russia non è l'unica nazione afflitta da una disumanizzazione imperante di questi tempi ma l'insistenza della cinepresa sulle macerie della vecchia Unione Sovietica, così come la scritta sulla tuta nella sequenza finale, non lasciano dubbi sull'obbiettivo del cineasta.
Loveless alla luce di questa analisi può dunque essere considerato come una cinica quanto esteticamente impeccabile riflessione sulla condizione emozionale dell'uomo contemporaneo, dal contesto sociale più ristretto (la famiglia) fino all'universalità del mondo intero.
Un'ultima chicca: tutti i fan (come me) dei Bring Me The Horizon apprezzeranno la sequenza in auto durante la quale Boris infastidisce sua moglie alzando a palla il volume mentre si trova in esecuzione Sleepwalking, una delle hit della band di Sheffield che peraltro esprime molto bene il cortocircuito emotivo nel quale si trovano i due personaggi.
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