Se oggi Michael Fassbender è un divo riconosciuto in tutto il mondo, amato sia dalle donne che dagli uomini, lo deve certamente a blockbuster come la saga degli X-Men o alla folgorante apparizione in Bastardi senza gloria (Inglorious Basterds, Quentin Tarantino, 2009) ma il suo talento trova una vera consacrazione internazionale nel 2011 con Shame, seconda opera dell'artista Steve McQueen con il quale aveva già collaborato per Hunger (2008). Nonostante il contenuto controverso e soprattutto le continue scene di nudo, persino integrali, il film si guadagna immediatamente il plauso della critica e un seguito da cult movie tra il pubblico, rendendo l'attore la star che tutti conosciamo e il regista inglese uno dei più apprezzati a livello mondiale.
La pellicola segue l'inesorabile decadimento di Brandon (Michael Fassbender), impiegato di successo in un'azienda di New York che dietro un'apparente esistenza invidiabile, scandita da una routine quasi robotica, nasconde una dipendenza incontrollabile verso il sesso, la masturbazione e la pornografia. Nella sua vita non c'è spazio per affetti o relazioni reali, solo momentanei incontri carnali e autoerotismo spinto verso perversioni sempre più estreme. Il flebile equilibrio dell'uomo viene definitivamente incrinato dall'arrivo a casa sua della sorella Sissy (Carey Mulligan), cantante evidentemente afflitta da una depressione accentuata dalla freddezza del fratello.
Più che il sesso, il cuore, la parola chiave della seconda opera di McQueen è "pornografia". Shame non racconta il rapporto di un uomo con il sesso o la ricerca di sempre nuovi piaceri; certo tutto questo trova un suo importante spazio ma ciò che il regista mostra (sottolineo mostra, verbo fondamentale all'interno del film) è l'inesorabile trasformazione di ogni soggetto in oggetto, in feticcio da acquistare senza difficoltà, consumare e gettare via dopo l'uso. Brandon è un uomo profondamente solo, ne è consapevole e dai litigi con la sorella si capisce come nel passato dei due qualcosa li abbia portati a una condizione emozionale gravemente deficitaria, così pur di evitare di scontrarsi con una sofferenza profonda al suo interno non può fare altro che affogare in una spirale di continua gratificazione erotica di donne-oggetti (a un certo punto persino un uomo) con le quali non ha mai veri rapporti sessuali. Non vi è complicità con questi partner occasionali, non sono visti dal protagonista come esseri umani e dunque rappresentano solamente l'ennesimo momento di masturbazione, non dissimile dalle quotidiane "sedute" nei bagni di casa o dell'ufficio. Il cineasta inglese sottolinea proprio la mancanza di umanità, la dimensione feticistica e consumistica della sessualità di Brandon e della sua intera esistenza con un ricorso continuo a piani sequenza estremamente distaccati emotivamente dal contenuto delle immagini, quasi a ricreare l'assenza di montaggio tipica della pornografia a basso costo, nelle quali domina la composizione il corpo di Fassbender, perennemente in scena e a fuoco mentre tutto il resto diventa solo uno sfondo opaco. Esattamente come nella visione edonistica del personaggio la macchina da presa sembra percepire soltanto la statuaria fisicità dell'uomo, tanto da mostrare allo spettatore senza alcuna remora persino il membro per diversi secondi, ma l'entrata in scena di Sissy, l'unico reale affetto di Brandon, rivela con evidenza le fragilità del protagonista e l'autore di 12 anni schiavo (12 Year Slave, 2013) lo mette in risalto attraverso un magistrale ricorso a superfici riflettenti che mostrano chiaramente il suo 'io frammentato, la sua vergogna. La vergogna proprio nei confronti di una esistenza fatta solo di superfici, di oggetti e sensazioni effimere per mascherare un vuoto incolmabile di legami, sentimenti, umanità. La vergogna per una contemporaneità così indissolubilmente legata a una filosofia pornografica che consuma persino chi all'apparenza risulta un vincente, uno "responsabile" come si definisce con finta fierezza Brandon per denigrare l'emotivamente instabile sorella.
Dietro la tematica controversa e quasi pornografica di per sé per una società superficialmente così puritana Shame nasconde dunque un ritratto devastante dell'uomo contemporaneo, prigioniero in una gabbia le cui sbarre sono le infinite immagini scevre di significante delle quali si circonda.
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