venerdì 19 ottobre 2018

THE PREDATOR: LA RIVINCITA DEI REIETTI

In seguito a un'attesa di ben otto anni è finalmente arrivato da qualche settimana anche in Italia The Predator, sequel ufficiale della saga fantascientifica nata nel 1987 con Predator dell'ingiustamente dimenticato John McTiernan. Il quarto episodio dedicato agli ormai celebri cacciatori alieni vede alla regia Shane Black, una garanzia di grande intrattenimento soprattutto in qualità di sceneggiatore, come dimostrano i vari Arma letale (Lethal Weapon, Richard Donner, 1987) o The Nice Guys, diretto dallo stesso Black nel 2016. Per l'occasione l'autore di Iron Man 3 (2013) ha riportato nel novero del cinema ad alto budget anche l'amico di vecchia data Fred Dekker nel ruolo di co-sceneggiatore ma nonostante ciò, almeno a oggi, il film in questione risulta aspramente criticato sia dai fan che dalla stampa anglosassone e, di pari passo con le recensioni negative, anche il botteghino sembra che stia sancendo il fallimento del progetto di riportare in auge il franchise.

Protagonista della pellicola è il cecchino statunitense Quinn McKenna (Boyd Holbrook), il quale durante una missione viene coinvolto nell'atterraggio disperato sul nostro pianeta da parte di un'astronave di un Predator, alieno dalle grandi capacità fisiche e strumentazioni tecnologiche con la passione per la caccia sportiva di altre razze. Prima che il mezzo extraterrestre e il suo pilota vengano occultati dalle forze governative che studiano i visitatori fin dai tempi del primo incontro con l'uomo del 1987 (il riferimento va agli avvenimenti del primo capitolo della saga) il soldato recupera l'elmo simile a una maschera e parte dell'armatura aliena come prova di ciò che ha visto e decide di spedirli alla sua famiglia, composta dalla moglie dalla quale appare ormai separato e dal figlio affetto da autismo Rory. Come prevedibile Quinn viene prontamente posto sotto arresto dall'esercito in quanto scomodo testimone e inserito in un gruppo di altri condannati dal tribunale militare, tutti profondamente colpiti nella psiche e nell'emotività: Nebraska Williams (Trevante Rhodes), marine con istinti suicidi, Coyle e Baxley (Thomas Jane), una coppia di ex amici affetti da chiari segni di stress post-traumatico, Lynch, soldato appassionato di illusionismo, e Nettles, pilota affetto da disordini mentali e un'estrema fede cristiana. Lo strampalato team di ex militari si trova suo malgrado a passare nei pressi del complesso nel quale un ensemble di scienziati studia le creature aliene attraverso il progetto diretto da Will Traeger, spietato quanto scaltro agente governativo che ha chiamato i visitatori spaziali Predator, quando, durante il primo giorno di lavoro della biologa Casey Bracket (Olivia Munn), l'extraterrestre riesce a liberarsi per mettersi alla ricerca dei pezzi mancanti della propria armatura. Durante la fuga dell'alieno la scienziata, tra i pochi sopravvissuti, si imbatte in McKenna e gli altri che la salvano dal tentativo dell'esercito di metterla a tacere e decidono di portarla con loro nella loro missione quasi impossibile: salvare il piccolo Rory dalle mire del Predator e di Traeger.

Dalla visione della pellicola e persino da questa, in parte convulsa, sinossi appare chiaro a chi abbia dimestichezza con il cinema americano anni Ottanta come The Predator attinga a piene mani da quel decennio e soprattutto dalla filmografia di tale periodo della sua coppia di autori, in particolare mi riferisco a quel Scuola di mostri (The Monster Squad, 1987), cult movie scritto e diretto da Dekker proprio con l'amico Black. La struttura narrativa ricalca in maniera evidente la ripartizione in circa tre piste percorse da altrettanti gruppi di personaggi che poi si riuniscono per la battaglia finale tra i tipici sobborghi della provincia americana. Oltre alla struttura narratologica portante ciò che davvero conferisce un'aura d'altri tempi e tipica della coppia di registi-sceneggiatori è l'intero spirito con il quale viene affrontato un lungometraggio con valori produttivi e ambizioni commerciali da blockbuster del terzo millennio. Come ormai risulta palese probabilmente anche ai muri il modello di pellicola ad alto budget da almeno una decina di anni è costituito dalle produzioni targate Marvel e da tutti i suoi epigoni, uniti da una tendenza all'intrattenimento ibrido tra action e commedia del tutto epurato da qualsivoglia riferimento sessuale o violento in grado di nuocere alla sensibilità dell'odierno web 2.0 e capace di ammaliare il pubblico tramite una fortissima spinta seriale, quasi come se ogni film sia anche un trailer per i seguenti. The Predator certamente non rinnega in toto questa tendenza dominante il panorama mainstream attuale (ricordo che Shane Black resta comunque l'autore proprio di uno dei capitoli del MCU) e dunque sfoggia alcuni dei caratteri tipici di essa quali l'abbondanza di CGI e un finale che, senza concedermi troppi spoiler, ammicca a possibili sequel ma allo stesso tempo resta fedele a una visione del cinema di genere e di intrattenimento assolutamente personale e per molti aspetti anacronistica. L'umorismo scaturito dalle stramberie del team capitanato da McKenna non potrebbe mai trovare spazio in un prodotto di matrice disneyana, specialmente quando arriva a toccare temi delicati come la diatriba uomo-donna o le disabilità mentali, così come la stessa idea di rendere protagonisti assoluti del film persone affette da evidenti disabilità psichiche o semplicemente dotati di una morale tutt'altro che cristallina come lo stesso cecchino o la biologa Bracket. Qualcosa di simile è stato in parte tentato da James Gunn con il suo dittico sui Guardiani della Galassia ma completamente edulcorato dalle palesi riflessioni sulle conseguenze reali della diversità di qualunque tipo in una società fortemente competitiva e uniformante come quella attuale presenti nella pellicola in analisi, la quale per certi versi riesce persino a assurgere a una sorta di summa delle riflessioni su tali tematiche già affrontante in passato da Black e Dekker nel già citato Scuola di mostri o in Kiss Kiss Bang Bang (2005), uno dei pochissimi action hollywoodiani con protagonista un personaggio omosessuale libero da stereotipi strumentali a una facile risata o a un'altrettanto grossolana lacrima.

In un panorama culturale che tende all'appiattimento, alla standardizzazione in ogni settore film commerciali come questo The Predator sono specie in via d'estinzione da proteggere con la massima cura (per chi ha visto il film l'ammiccamento a un tema da non sottovalutare è assolutamente voluto) e non perché questi sia un'opera perfetta o degna dell'Olimpo della storia del cinema ma semplicemente per il suo coraggio, nella fierezza con cui non nasconde la propria diversità, facendo tesoro persino delle proprie debolezze, come l'autismo che rende Rory incapace di fare amicizia con molti dei suoi coetanei ma al contempo ne "amplifica" sincerità e alcune capacità di apprendimento. Come il team composto da Nebraska e compagni l'ultimo lavoro della coppia di amici che aveva tentato di conquistare Hollywood negli anni '80 probabilmente finirà per essere dimenticato da molti ma per coloro che ne comprenderanno pregi e difetti resterà un'esperienza preziosa.

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