Dopo anni passati a recitare e scrivere tra il piccolo e il grande schermo, così come a teatro, il duo di amici di vecchia data Jeremy Dyson e Andy Nyman firmano nel 2017 il loro esordio alla regia di un lungometraggio: l'horror Ghost Stories, distribuito nelle sale inglesi e italiane nel 2018. Grazie anche al traino di attori sulla cresta dell'onda quali il giovane Alex Lawther (The End of the F***ing World, Jonathan Entwistle, 2017) e soprattutto Martin Freeman il film riesce a essere portato sul grande schermo anche nel Bel paese, a differenza della maggior parte delle pellicole di genere britanniche che solitamente vengono commercializzate in home video o su piattaforme on-demand, ottenendo buoni incassi e ottime recensioni, ben più entusiastiche della media dei prodotti dell'orrore hollywoodiani o comunque ad alto budget.
Protagonista del film in analisi è Phillip Goodman (Andy Nyman), ideatore e conduttore di un programma televisivo che smaschera sedicenti medium e tenta dunque di spiegare razionalmente presunti eventi soprannaturali. Una vera vocazione nata dall'estremo zelo religioso del padre, un ebreo praticamente che ne ha negativamente segnato infanzia e adolescenza. Il punto di riferimento dell'uomo nella sua crociata è rappresentato da Charles Cameron, un famoso investigatore del paranormale che negli anni '70 aveva svelato numerosi casi di truffe. Proprio quest'ultimo, creduto morto da anni, chiede un incontro al protagonista attraverso cui gli sottopone tre casi ritenuti da lui autenticamente soprannaturali. Sebbene stranito dall'accaduto Goodman accetta, convinto, a torto, di poter dimostrare come ha sempre fatto che non vi è nulla di misterioso o di trascendente nella vita umana.
L'incipit girato replicando il formato e la qualità visiva delle piccole cineprese da 8 millimetri, le ambientazioni e l'uso di cartelli dal sapore altrettanto retrò per introdurre ciascuno dei tre casi affidati al protagonista potrebbero far pensare allo spettatore di trovarsi dinanzi all'ennesimo prodotto intriso di quella nostalgia vintage che imperversa negli ultimi anni in tutti i campi artistici e che nel settore audiovisivo ha trovato la sua massima espressione in Stranger Things (Matt e Ross Duffer, 2016-) ma non è il caso di Ghost Stories. Certamente l'esordio alla regia della coppia Dyson-Nyman pesca a piene mani dalla storia dell'horror, sia letterario che cinematografico, ispirandosi in particolare alle atmosfere gotiche tipiche della Hammer e al film antologico portato alla ribalta da Racconti dalla tomba (Tales from the Crypt, Freddie Francis, 1972), a sua volta tratto dall'omonima serie di fumetti edita da EC Comics che ebbe un successo straordinario negli Stati Uniti prima che la lama della censura si abbattesse sulla nona arte oltreoceano, e dunque risulterebbe naturale inserire la pellicola all'interno di quel filone contemporaneo che recupera proprio quel particolare tipo di orrore e del quale possono essere considerati a titolo di esempio The Woman in Black (James Watkins, 2012) e in parte The Conjuring (James Wan, 2013). Potremmo affermare che la stessa sceneggiatura e la messa in scena tentino di suggerire allo spettatore di avere davanti uno spettacolo citazionista nel quale l'appassionato può trovarsi perfettamente a suo agio e persino divertirsi a rintracciare le strizzate d'occhio alle perle del genere, come la soggettiva demoniaca a velocità supersonica presente nel secondo "episodio" che richiama palesemente La casa (Evil Dead, 1981) di Sam Raimi, ma il proseguo, a partire dal terzo episodio, dimostra che in realtà questa iniziale confezione nasconde al suo interno la prima parte del meccanismo tipico del mind-game film, ossia di quei lungometraggi nei quali la narrazione depista volontariamente il pubblico per poi sorprenderlo con un colpo di scena finale che ribalta completamente le premesse del racconto. Proprio come accade in opere quali The Village (M. Night Shyamalan, 2004) o Apri gli occhi (Abre los ojos, Alejandro Amenabar, 1997), tutto ciò che lo spettatore aveva dato per scontato all'interno del narrato viene messo in discussione attraverso una discesa sul piano onirico sempre più potente fino ad arrivare a un finale che sconvolge tutto, sebbene come in ogni film di questo tipo gli indizi sul disvelamento dell'epilogo vengano disseminati per l'intero minutaggio della pellicola, e che dona all'impianto gotico un suo preciso significato espressivo, rintracciabile nella volontà degli autori di indagare il senso di colpa e il confine tra il mondo fenomenico e quello ben più esoterico che nasce dalla mente umana.
Forte di un impianto di scrittura tanto sicuro e contemporaneo Ghost Stories si presenta dunque come un ottimo esordio per i suoi registi, capaci peraltro di sfruttare a pieno le interpretazioni di elevato spessore da parte del cast attorico, specialmente il mefistofelico Freeman, e di imporre una messa in scena molto elegante rispetto ai canoni del cinema di genere attuale, rinunciando all'abuso di camera in spalla ed esplosioni sonore tipico dell'horror del terzo millennio in luogo di carrellate orizzontali, piani sequenza e un grande equilibrio compositivo in ogni inquadratura, spesso prive di commento musicale, proprio come nel miglior cinema gotico anni '60 e '70, a conferma ulteriore della posizione liminare tra passato e presente del film.
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