venerdì 13 ottobre 2017

IL GIOCO DI GERALD: EVADERE DA UNA VITA INTERA TRA LE MANETTE

Il 2017 rappresenta un anno sicuramente da ricordare per tutti gli appassionati del re dell'horror Stephen King, non tanti per la sua penna, bensì per l'uscita nell'arco di una manciata di mesi di ben tre trasposizioni cinematografiche di alcuni dei suoi lavori più famosi. Tra queste ho deciso di analizzare quella con un budget minore, minore clamore mediatico ma da un'accoglienza critica estremamente entusiasta: mi riferisco a Il gioco di Gerald (Gerald's Game), scritto e diretto da Mike Flanagan. L'ormai esperto autore di horror psicologici ha scelto coraggiosamente di adattare per lo schermo una delle opere del romanziere statunitense considerate meno cinematografiche e probabilmente anche per questo ha dovuto affidarsi a Netflix sia per la produzione che per la distribuzione, scelta che gli ha permesso di disporre al massimo delle proprie inclinazioni personali del modesto budget a sua disposizione, trovando l'apprezzamento unanime di critica e pubblico.

La trama, estremamente e volutamente semplice, ruota attorno alla decisione da parte dei coniugi Jessie (Carla Cugino) e Gerald (Bruce Greenwood) di passare un weekend da soli in una casa su un lago nel Maine. La donna accetta di assecondare le fantasie sessuali del marito pur di ridare vigore alla loro vita di coppia, così si lascia ammanettare al letto mentre il partner inscena un gioco di ruolo nel quale sembra voler stuprare la consorte. A un certo punto alcuni dei termini usati dall'uomo risvegliano nell'altra orribili ricordi sopiti, portandola a interrompere il gioco contro il volere del marito, il quale però viene stroncato da un infarto dopo aver assunto una pasticca di Viagra. Rimasta sola e ammanettata al letto Jessie si trova a dover affrontare i demoni di un passato che aveva tentato di dimenticare e allo stesso tempo a lottare per sopravvivere.

Molte delle migliori pellicole dell'orrore recenti hanno saputo dimostrare (si pensi ad esempio alle produzioni Blumhouse) quanto sia efficace lavorare maggiormente per sottrazione in questo genere, esaltando le qualità sia visive che narrative di un ambiente unico (che spesso diventa anche un personaggio vero e proprio) e di pochi personaggi in esso racchiusi, quasi come a voler riscoprire la potenza della narrazione archetipica del teatro attico del V secolo a.C. Il gioco di Gerald si inserisce all'interno di questa tendenza semplificatoria (nella migliore accezione del termine semplice) senza però rinunciare mai alla poetica del proprio autore, che in questo caso si sposa alla perfezione con le tematiche di King e del suo romanzo. Proprio come il celeberrimo romanziere anche Flanagan si dimostra un assiduo indagatore di quel periodo della vita che segna la transizione dall'infanzia all'adolescenza, una fase che segna indelebilmente la personalità del nostro io adulto e i cui trascorsi restano indelebili nella mente per sempre. Se in Stand by Me (Rob Reiner, 1986) il ricordo di questo passaggio è reso agrodolce dal tema dell'amicizia nel film in analisi questo improvviso riemergere del passato diventa un incubo, un ritorno dalle viscere del subconscio di due episodi talmente dolorosi da aver segnato l'intera esistenza della protagonista.

Una volta riemersi due momenti appena citati ecco che il lungometraggio diventa una sorta di seduta psicanalitica presenziata da Jessie, una proiezione mentale di sé che la spinge a reagire e una del marito, ormai morto, che invece le rinfaccia con crudeltà tutte le sue insicurezze e le menzogne che ha dovuto raccontarsi per soffocare quel dolore mai realmente affrontato ma che deve irrimediabilmente prendere di petto e superare per poter finalmente vivere una vita degna di tale nome. Come una reincarnazione di Odisseo o Enea la donna è costretta a una discesa negli inferi, rappresentati in questo caso dalla notte passata ammanettata al letto in balia dei propri demoni (e non solo), per sconfiggere la morte stessa e riemergere nel mondo dei vivi, del quale in realtà aveva smesso di far parte da anni, da quella fatidica eclisse trascorsa insieme al padre.
Proprio l'eclisse rappresenta la punta di diamante del lavoro visuale svolto dal regista di Oculus (2013), grazie alla potenza del contrasto tra la gamma cromatica vicina a un effetto seppia del ricordo e l'espressionistica sovrapposizione di nero e rosso del momento in cui il sole viene coperto dalla luna. Quest'ultima immagine torna in seguito a tormentare ogni notte il personaggio interpretato magistralmente da Carla Cugino, divenendo il simbolo stesso della discesa negli inferi affrontata dalla donna, il cui incipit diventa netto grazie alla regia di Flanagan, il quale oppone inquadrature fisse e geometricamente pulite nel rassicurante incipit ad altre decisamente più perturbanti e chiaroscurali dal momento in cui Gerald muore e inizia l'incubo della moglie.

Tirando le somme Gerald's Game è un'opera che lavora su diversi strati, dalla suspense tipica del prodotto di genere fino a quello più psicanalitico attraverso gli scambi di battute tra la coppia protagonista e la regia personalissima del suo director,e soprattutto lo fa con efficacia, senza relegare maggiore o minore importanza a un dato livello di fruizione, esattamente come i grandi horror sanno fare.
P.s. Occhio alle citazioni alla precedente filmografia dello stesso Flanagan e a un riferimento imprescindibile per l'esplorazione dell'inconscio nella settima arte: David Lynch.

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