Reduce
da una carriera da regista e sceneggiatore esclusivamente
nell'animazione il sud coreano Yeon Sang-ho presenta durante
l'edizione 2016 del Festival di Cannes il suo primo lavoro
live-action, lo zombie movie Train to Busan.
Il lungometraggio si è rivelato un successo strepitoso di pubblico
in patria e in numerosi paesi asiatici, oltre ad aver convinto la
maggioranza della critica, sia orientale che occidentale, nonostante
negli ultimi anni il motivo degli zombie sia stato affrontato in
centinaia di film, serie tv, videogame e qualunque altro media al
punto da rendere quasi superfluo qualsiasi nuovo tentativo.
Protagonisti
assoluti della pellicola diretta dall'autore di The King of
Pigs (2011) sono Seok-woo, un
egoista broker tutto dedito al proprio lavoro, e sua figlia Soo-an,
con la quale ha un rapporto estremamente difficile a causa del suo
assenteismo reiterato. L'uomo promette alla piccola, per il suo
compleanno, di riportarla a Busan dalla madre e quindi partono per la
città in questione in treno. Quello che sembra essere un normale
viaggio di qualche ora come tanti si rivela invece una vera e propria
discesa negli inferi: a bordo sale una ragazza che si rivela essere
infetta da uno strano virus capace di trasformare gli esseri umani in
aggressive bestie antropofaghe semplicemente attraverso il morso. La
giovane infetta mordendo diventa l'innesco del morbo sul treno, che
in breve vede tramutare in queste creature la maggior parte dei
passeggeri e del personale a bordo. Soltanto i due protagonisti e una
manciata di altre persone, tra cui spiccano il gigante di buon cuore
Sang-hwa con la consorte in dolce attesa, un giovane giocatore di
baseball con la fidanzata, un barbone, due anziane sorelle e un
meschino uomo d'affari.
A
causa dell'esplosione del fenomeno zombie di cui ho accennato in
precedenza poter apportare un contributo di rilievo a tale
sottogenere dell'horror diventa un obbiettivo estremamente arduo,
ancora di più per un cineasta coreano, vista la scarsa dimestichezza
del cinema dell'orrore asiatico con questo tipo di creature, per di
più alla prima esperienza con il live-action. Nonostante tutte
queste incognite di non poco conto Yeon Sang-ho dimostra per prima
cosa di conoscere bene le proprie fonti, le basi da cui non può
prescindere per questo lavoro, come dimostrano le enormi capacità
atletiche degli infetti, riprese da 28 giorni dopo
(Danny Boyle, 2002), o la scelta di rinchiudere personaggi umani di
diversa estrazione sociale in un luogo claustrofobico che richiama
la La notte dei morti viventi
(1968) e Zombi (1978),
entrambi diretti da George A. Romero. Dunque quello a cui assiste il
pubblico è semplicemente un pastiche di tutta la filmografia
dedicata a tali creature? Non a mio avviso. La grande intelligenza
dell'autore di The Fake
(2013) si dimostra nel momento in cui rielabora attraverso la propria
sensibilità e la propria poetica tutta l'esperienza precedente nel
genere. La spietata critica sociale al centro dei lavori del già
citato Romero viene decostruita e adattata alla società coreana
odierna, ossessionata dal successo personale e irrigidita in una
scala piramidale nella quale i più forti (o meglio i più ricchi)
sono tenuti a schiacciare i deboli su cui basano il proprio
prestigio. In questo modo il treno, il mezzo di trasporto che quasi
mai può deviare da un dato percorso prestabilito, diventa metafora
del paese d'origine del regista e i sopravvissuti alla prima ondata
del virus assumono il ruolo di simboli dei vari gradini della
piramide, in cima alla quale si trovano proprio Seok-woo e il manager
Yon-suk. Ecco però che nuovamente l'autore devia dal solco tracciato
dai suoi predecessori; i personaggi infatti non si limitano ad
assurgere alla funzione di simulacri, bensì riescono a rivelare la
propria umanità a tutto tondo, come dimostra soprattutto il broker
protagonista, il quale emerge alla fine della propria discesa negli
inferi come una persona completamente diversa da quella di partenza,
un novello Enea che impara ad aiutare il prossimo disinteressatamente
e che recupera il rispetto e l'amore della figlia. All'opposto il
cinico ed egoista uomo d'affari che ostacola in tutti i modi
possibili gli altri superstiti finisce per restare l'unico carattere
piatto, limitato a mostrarsi portatore solamente dell'istinto di
sopravvivenza in quanto foriero in tutto e per tutto delle istanze
disumane della società sudcoreana.
A supporto di una rievocazione
del mito di Enea da parte di Yeon Sang-ho vi sono numerose sequenze e
scelte visive, alcune quasi letterali, come le costanti fughe dei
personaggi in coppie che rievocano direttamente quella dell'eroe
troiano con il giovane figlio Ascanio, mentre altre maggiormente
sfumate. Tra queste ultime identifico l'espediente della cecità al
buio degli zombie, una trovata che permette da un punto di vista
narrativo di dare maggiori speranze di salvezza ai poveri
protagonisti ma che allo stesso tempo giustifica una serie di
sequenze completamente prive di luce che evocano la visione antica
degli inferi, un luogo oscuro e popolato da essere che ormai di umano
non possiedono altro che il passato, proprio come gli infetti.
In
conclusione Train to Busan
si rivela, specie per gli appassionati di cinema di genere, una
gradita sorpresa in mezzo allo sterminato universo di prodotti
dedicati ai morti viventi, ben conscio dei pilastri del passato ma
capace di rileggerli in chiave personale e, cosa non da poco,
limitando al minimo gli elementi splatter in favore di riflessioni
socio-politiche e persino momenti di alto impatto emotivo. In parole
povere, un'esperienza assolutamente consigliata.
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