Anno 2000. Il terzo millennio si apre con quello che sarebbe divenuto il film maggiormente noto in Europa di Wong Kar-wai, ossia In the Mood for Love. La pellicola incontra da subito una ricezione universalmente positiva da parte della critica, con tanto di premio per la migliore interpretazione maschile al Festival di Cannes, e successivamente è stata inserita in numerose classifiche dei migliori film asiatici e non solo dalle più importanti riviste del settore.
Le vicende narrate si svolgono nella Hong Kong degli anni 60, nel pieno della decolonizzazione, e hanno per protagonisti la segretaria Su Li-zhen (Maggie Cheung) e il giornalista Chow Mo-wan (Tony Leung). I due si trasferiscono lo stesso giorno in due appartamenti adiacenti con i rispettivi compagni ma si trovano a passare gran parte del loro tempo a lavoro e poi da soli nelle proprie camere. A causa di alcuni piccoli indizi notati da entrambi questi si rendono conto che le persone da loro amate hanno in realtà una relazione extraconiugale, una scoperta che porta l'uomo e la donna traditi a passare molto tempo insieme per capire come possa essere nata tale storia. Nonostante Chow e la signora Chan arrivino al massimo ad abbracciarsi nasce tra i due un fortissimo sentimento.
Ammetto quanto sia pretenzioso parlare esaustivamente di un'opera come In the Mood for Love in poche righe, per questo mi soffermerò su alcuni aspetti che hanno suscitato il mio interesse e che credo possano spingervi a scoprirla o a riassaporarla.
Da un punto di vista puramente visivo non è possibile esimersi dal restare incantati dall'eleganza dei movimenti di macchina effettuati dal cineasta cinese, sempre morbidi e sinuosi, così come la posizione della stessa che molto spesso si trova a creare inquadrature parzialmente coperte, come se la mdp si identificasse con lo sguardo di uno spettatore che osserva il tutto dal buco della serratura. Al virtuosismo (tutt'altro che ingiustificato, come spiegherò tra poco) della regia fa eco una fotografia caratterizzata dall'abbondanza di colori caldi, soprattutto il rosso, filtrati però per gran parte del film da una patina che sembra dissolverli rendendoli meno definiti: un effetto dovuto in alcune sequenze al fumo di sigaretta o in altre alla pioggia ma che risulta costante e che si collega ai temi principali del lungometraggio.
Vi chiederete quali siano questi temi che esplodono fin dall'incipit con la voce narrante e la risposta a mio avviso è meno banale di quanto sembri. Gran parte della critica si è concentrata, anche in maniera corretta se si conosce la filmografia di Wong Kar-wai, sul tempo e la sua ineluttabilità. L'intera vicenda narrata viene raccordata da un montaggio che lavora attraverso un'estrema sottrazione, tanto che molte volte il passare dei giorni o delle stagioni viene segnato solamente dai cambi d'abito della signora Chan; la nitidezza dei colori caldi scelti per gli ambienti e i costumi diviene soffusa e i partner fedifraghi non vengono mai mostrati, come se fossero rimossi dalla memoria. Ecco la parola chiave: l'intero film viene narrato come una serie di ricordi-lampo rivissuti nella mente dei protagonisti e a confermarlo è l'emblematico discorso finale del narratore, il quale rende esplicita le similarità tra ciò a cui lo spettatore ha assistito e i ricordi stessi. Entrambi possono essere goduti attraverso la vista ma mai attraverso il tatto poiché ormai sono lontani, o meglio irraggiungibili.
Irraggiungibile è non solo il passato ma lo è per Chow e Su Li-zhen soprattutto l'amore. I due inizialmente si frequentano come per elaborare la paradossale situazione nella quale si sono ritrovati ma pian piano finiscono per non poter più fare a meno dell'altro. Spesso arrivano a sfiorare l'uno la mano dell'altro, in un paio di sequenze si abbracciano eppure il loro amore, che pure risulta evidente dagli sguardi e da tanti silenzi quanto mai eloquenti, non si tramuta mai in un rapporto fisico, sia per poter mantenere le distanze da ciò che hanno subito dai propri partner, sia per non incorrere nei giudizi moralisti della società cinese dell'epoca. In questo modo il sentimento in questione resta una specie di miraggio, un inarrivabile orizzonte a cui si può tendere e basta, cosa che fa sì che i due si trovino in quello stato preparatorio al sentimento vero e proprio, ossia il mood del titolo occidentale scelto dal director asiatico. Proprio questo secondo me risulta essere, insieme alla riflessione sul tempo, il tema portante dell'intero film che spesso è stato poco considerato, nonostante venga confermato persino dal più evidente degli elementi di una pellicola.
Meriterebbero ampio spazio anche le prove attoriali di Maggie Cheung, di una bellezza raffinatissima che tenta di mascherare la grande solitudine che la sovrasta, e Tony Leung, tormentato quasi quanto un antieroe da noir, così come la colonna musica ( si pensi all'utilizzo leitmotivico di Yumeji's Theme) ma ho preferito concentrarmi maggiormente sulle connessioni tra lo strabordante stile visuale e la poetica espressa.
In conclusione In the Mood for Love riesce nell'arduo compito di abbagliare l'occhio con la cura per lo stile e allo stesso tempo di emozionare in maniera intelligente e sincera, il tutto con quella magia che travalica le forme propria della poesia.
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