Reduce dai numerosi consensi ricevuti per i precedenti A Snake of June (2002) e Vital (2004) il visionario cineasta Shinya Tsukamoto presenta in concorso all'edizione del 2006 della Festa del cinema di Roma Nightmare Detective, per il quale si occupa anche del soggetto, della sceneggiatura, del montaggio, della fotografia e persino della scenografia oltra a interpretare il ruolo di quello che potremmo definire il villain del film. In questo caso il condizionale resta d'obbligo a causa della difficile catalogazione del lungometraggio come semplice horror o thriller in quanto, sia a livello stilistico che narrativo, sotto la corazza da prodotto di genere presenta moltissimi temi e motivi cari al regista nipponico.
Protagonisti di Nightmare Detective sono la giovane e bella ispettrice Keiko (interpretata non a caso dalla popstar Hitomi) e Kagenuma, un giovane dal passato estremamente tormentato ma anche capace di entrare nei sogni altrui e di leggere nella mente. I due, malgrado le resistenze del ragazzo, sono costretti a collaborare per fermare un misterioso individuo noto come 0 (Tsukamoto stesso) in grado di portare al suicidio chiunque lo contatti telefonicamente attraverso degli incubi.
Non accenno ad altro sui risvolti narrativi vista la precedentemente accennata corazza da thriller della pellicola che quindi non mi consente spoiler, inoltre non credo sia così interessante la risoluzione della trama investigativa, a differenza del lato visuale e dei suoi risvolti etico-sociali. Come da abitudine per l'autore di Tetsuo (1989) la macchina da presa si muove frenetica fino a divenire quasi schizofrenica nella concitata sequenza tra incubo e realtà in cui avviene lo scontro finale tra i protagonisti e 0, mentre la fotografia è contraddistinta da una tinta blu per il mondo empirico e una tendente al bianco e nero per le sequenze oniriche, soprattutto quando a sognare è qualcuno tendente al suicidio. Suicidio che è anche il motivo che maggiormente ricorre per tutta la durata della pellicola, una scelta che diegeticamente appare più imposta da una volontà aliena ma che poeticamente sembra essere l'unica, estrema ancora di salvezza per l'essere umano a un'esistenza ingabbiata, priva di alcun significato come quella a cui la società post-capitalista costringe l'individuo. Ecco che, esattamente come nel precedente Tokyo Fist (1995) che analizzerò a breve, la capitale del sol levante diviene emblema di tale prigione con la sua urbanizzazione opprimente, resa ancor più soffocante dalle inquadratura dal basso verso l'alto e dall'uso quasi fisso del blu per rappresentarla, ma questa volta per Tsukamoto neanche la violenza o il dolore bastano a riappropriare dei caratteri propri l'umana esistenza, soltanto la morte può, specie in un mondo che l'ha resa un taboo da esorcizzare in qualsiasi maniera.
Sebbene Nightmare Detective non possa dirsi l'opera più riuscita del suo estroso autore resta un'esperienza visivamente di grande impatto e anche filosoficamente estremamente potente nell'affermare, anche sottilmente, la poetica del cineasta giapponese.
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