Nel momento di massima esplosione del fenomeno James Bond la scoppiettante produzione italiana della seconda metà degli anni '60 reagisce attraverso due via: la prima è rappresentata dai film di spionaggio palesemente influenzati dalle avventure di 007 (si veda la mia precedente analisi di Operazione Goldman) mentre l'altra porta numerosi cineasti a cimentarsi con la trasposizione di fumetti di successo dell'epoca a loro volta influenzati dalle piccole appena citate. Si inserisce a pieno titolo in quest'ultimo filone Diabolik, lungometraggio diretto nel 1968 dal genio degli effetti speciali e della fotografia Mario Bava tratto dall'omonimo fumetto ideato dalle sorelle Giussani. Prodotto da Dino De Lauentiis con il budget più consistente nella carriera dell'autore di Terrore nello spazio (1965) il film si rivela un successo modesto al botteghino e soltanto la critica francese si dimostra attenta alle sue qualità che oggi vengono riconosciute in tutto il mondo, soprattutto grazie all'opera di riscoperta accademica avvenuta negli ultimi anni della produzione baviana.
La trama di Diabolik riprende con una certa fedeltà tre albi del fumetto originale unendoli in modo non del tutto riuscito: dopo essere riuscito a beffare per l'ennesima volta l'ispettore Ginko, interpretato dal grande Michel Piccoli, il re del terrore è costretto ad affrontare anche il gangster Valmont per salvare la sua amata Eva per poi scontrarsi nuovamente con il suo storico avversario nel momento in cui il celebre ladro mette in ginocchio l'economia della nazione intera.
Se a livello narrativo la pellicola in analisi scricchiola e mostra il fianco alle numerose critiche ricevute all'uscita nelle sale è importante ricordare quanto questo aspetto sia estremamente subordinato al lato visuale, anche perché molti elementi del film lo avvicinano alla fantascienza, il genere per eccellenza in cui lo stile affossa la narrazione. Lo sprofondamento nel fantascientifico è proprio uno degli ammiccamenti a 007 che il regista lancia al pubblico coevo, che era letteralmente impazzito per le avventure dell'agente segreto tanto da portare De Laurentiis a limitare la verve visiva dell'autore di La maschera del demonio (1960), il quale avrebbe voluto inserire sequenze maggiormente sanguinolente ed erotiche. Il potente produttore italiano stoppò ogni tentativo in questa direzione, sicuramente per motivi di censura ma anche per rendere la figura del ladro in calzamaglia più vicina a quella del gentiluomo Bond, cosa che irritò non poco il regista, il quale avrebbe voluto un protagonista maggiormente rispettoso della propria controparte cartacea.
Nonostante le diatribe durante la produzione il risultato finale ottenuto è un film in tutto e per tutto made in Bava grazie al suo inimitabile lavoro sull'uso del colore intensificato, degli effetti speciali a basso costo ma qualitativamente di altissimo livello e la costruzione di ambienti estremamente evocativi, come ad esempio la base segreta del re del terrore che appare simile a un'astronave. Altro fiore all'occhiello della pellicola sono le musiche composte da Ennio Morricone, ricche di influenze rock proprio come il tema di Bond realizzato da Monty Norman e John Barry, così come l'interpretazione di Michel Piccoli nei panni dell'ispettore Ginko. Per quanto siano stati costantemente oggetto di scherno al momento dell'arrivo nelle sale del lungometraggio anche gli attori protagonisti John Phillip Law e Marisa Mell sono divenuti negli anni delle icone pop, tanto da essere diventati i volti comunemente associati ai personaggi di Diabolik ed Eva Kant. Pop come l'intera estetica dell'opera (sterminate le somiglianze visive con la pop art, il fumetto stesso e il design) ma anche come il riconoscimento mondiale che oggi ha ottenuto grazie alla cinefilia prima e agli studi retrospettivi poi.
In conclusione Diabolik risulta a mio parere imprescindibile per ogni appassionato di cinema di genere, moderno e persino contemporaneo, sia per le qualità intrinseche del prodotto filmico che per il contesto attuale in cui viviamo, caratterizzato dalla continua commistione di media diversi in cui a farla da padrone sono proprio cinema e fumetto, ormai divenuti simbionti da miliardi di dollari di incassi.
Piccolo satellite orbitante attorno al pianeta Cinema ma con la forte attrazione anche per le altre arti e in particolare per quelle che più segnano la nostra contemporaneità: fumetto, videogame ecc. Fondamentale per me è che chi scriva qui abbia assoluta cognizione di causa (io ad esempio possiedo una laurea triennale al DAMS e una magistrale in scienze dello spettacolo). Auguro buona lettura e buona riflessione a chiunque voglia fermarsi su questo sperduto satellite della settima arte.
mercoledì 28 dicembre 2016
DIABOLIK: IL CINECOMIC SECONDO MARIO BAVA
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