giovedì 24 settembre 2020

TENET: LA PRESTIDIGITAZIONE NOLANIANA INCONTRA JAMES BOND

 Il 2020 ha, finora, portato via a tutti noi , in primis vite umane. Tra le vittime dell'ormai famigerato COVID 19 vi è certamente anche il cinema, soprattutto il mondo legato alla visione in sala. In maniera tragicamente simile a quanto accade proprio agli esseri umani, anche in questo caso il virus risulta ancor più letale per la condizione di salute già estremamente precaria nella quale versa da qualche anno la fruizione collettiva dei film, relegata a un ruolo secondario rispetto al più comodo e appetibile universo dello streaming on demand casalingo. La chiusura forzata di gran parte delle sale in tutto il mondo ha costretto, a loro volta, molte produzioni a rinviare la distribuzione sul grande schermo delle proprie opere o addirittura a virare verso il rilascio diretto in home video delle stesse. A tale stallo ha cercato di rispondere uno degli autori maggiormente affezionati alla tradizionale fruizione in sala della settima arte (nonché della pellicola rispetto al digitale): Christopher Nolan. Il cineasta inglese, pur con numerosi ritardi e uno slittamento costante delle date tra un mercato e l'altro, ha scommesso ancora più del suo solito sul futuro dei cinema rilasciando nel corso dell'estate appena conclusasi Tenet, un blockbuster costato circa 200 milioni di dollari e girato in larghissima parte con cineprese IMAX da 70 mm. Un vero e proprio titano lanciatosi in avanscoperta per provare a dimostrare al mondo intero che le "vetuste" sale possono ancora affascinare gli spettatori come mai potrebbe lo schermo di uno smartphone, persino in un periodo di grande incertezza e timore verso il contatto con il prossimo. Scopriamo adesso cosa offre la pellicola in questione oltre a queste, generose quanto ambiziose, velleità .


Delineare la sinossi di un'opera nolaniana risulta sempre un lavoro piuttosto infido, soprattutto quando ci si prefigge di evitare spiacevoli spoiler al lettore. Per questo motivo mi limito ad anticipare che il film mette in scena la missione ai limiti dell'impossibile di un anonimo agente della CIA (John David Washington), noto semplicemente come il "Protagonista", per salvare il mondo da un misterioso dispositivo proveniente dal futuro, in grado di invertire l'entropia di oggetti ed esseri viventi e persino quella del pianeta. La pericolosissima arma si trova nella grinfie del trafficante d'armi russo Andrei Sator (Kenneth Branagh), il cui unico punto debole viene individuato dall'eroe nella consorte Kat (Elizabeth Debicki), che decide di aiutare l'uomo pur di liberare se stessa e il figlio dal giogo del marito. Sebbene l'operazione sia affidata al Protagonista da una agenzia governativa nota come Tenet, l'unico reale supporto alla missione arriva quasi esclusivamente da Neil (Robert Pattinson), mediatore conosciuto in India che cela però molti segreti.


La passione nutrita dal regista di Memento (Christopher Nolan, 2000) per la saga dedicata a 007 non è un mistero, tanto da aver autorizzato in varie circostanze i suoi fan a sperare in un capitolo da lui diretto. Probabilmente a causa dei naturali vincoli dai quali la sua visione artistica verrebbe imbrigliata entrando all'interno di un franchise cementatosi nell'arco di più di cinquant'anni, a oggi Nolan non ha ancora apposto la propria firma a nessuna avventura dell'agente segreto britannico ma è tutt'altro che semplicistico vedere in Tenet una sua, personale, rivisitazione del mito bondiano. Sottraendo la complessa stratificazione di elementi fantascientifici e un montaggio volutamente anticlassico, il film rivela difatti una struttura narrativa pienamente aderente al canone nato con Agente 007 - Licenza di uccidere (Dr. No, Terence Young, 1962). Proprio come l'affascinante spia interpretata da Sean Connery il Protagonista incarna un ideale mascolino dotato di innegabile magnetismo, capacità di destreggiarsi attraverso una serie sempre più improbabile di incarichi da cui dipendono le sorti del mondo intero ma privo di gran parte di quelle coordinate personali a cui lo spettatore solitamente si affida per entrare in risonanza emotiva con un personaggio di finzione. Dare vita a un eroe avulso dalla costruzione del personaggio resa tipica dal romanzo ottocentesco potrebbe avallare l'idea di un disinteresse da parte del regista inglese per la sfera emotiva delle figure che mette in scena (come peraltro sostengono molti suoi detrattori) ma, a mio avviso, tale, ponderata, scelta narrativa ben si sposa sia con l'idea di omaggiare un genere da lui visceralmente amato che con quella visione di cinema come grande spettacolo di illusione affermata all'ennesima potenza in The Prestige (Christopher Nolan, 2006). 


Aggiornando in parte quanto già fatto all'interno di Inception (Christopher Nolan, 2010), il cineasta inglese crea un'opera leggibile a più livelli, a partire dalla base costituita dal cinema di genere e dalla cristallizzata tradizione della spy story sia cartacea che filmica. Da questa ossatura si dirama un "innesto" costituito dalle implicazione sci-fi dell'uso dell'inversione dell'entropia insita in ogni corpo fisico come arma di distruzione di massa, in luogo dell'ormai archetipico ordigno nucleare visto in tante avventure di Bond o Ethan Hunt. Tramite il ricorso a queste teorie fisiche il film riesce a offrire una versione più fresca dell'elemento piuttosto abusato del viaggio nel tempo, nonostante la presenza di una minaccia mondiale proveniente dal futuro ricalchi in larga misura quanto visto in Terminator (The Terminator, James Cameron, 1984). Anche dal punto di vista prettamente fantascientifico, dunque, Nolan mostra semplicemente una diversa angolazione di storie già entrate nell'immaginario collettivo della settima arte ma, come ci ricordano i prestigiatori, il trucco per funzionare davvero e creare un genuino sentimento di stupore nel pubblico non deve mai essere complicato, bensì deve solo apparire tale.

Per creare l'illusione di complessità l'autore si affida in questo caso alla forma, in particolare al montaggio e alla colonna sonora, intesa come insieme di tutti i suoni presenti su pellicola, siano essi rumori o tracce musicali. Jennifer Lame, montatrice del lungometraggio, articola l'intreccio abbandonando la tipica struttura della fabula per abbracciare invece l'idea di palindromo che costituisce il cuore dell'intera opera. Dopo un incipit in medias res in pieno stile bondiano il film subisce una parabola che lo porta a piegarsi si se stesso a più livelli, dalle macrosequenze fino all'unità minima della grammatica filmica, l'inquadratura. Un processo di inversione e di manovra a tenaglia che chiaramente richiama quello a cui ricorrono i personaggi della diegesi e che nel corso del racconto, grazie anche alle spiegazioni fornite tramite i dialoghi, diventano progressivamente leggibili per lo spettatore nella misura voluta dal regista/prestigiatore. Al trucco del montaggio da novello Méliès, Nolan abbina anche un secondo strato illusorio, ottenuto grazie a una componente sonora estremamente aggressiva, capace di stordire i sensi del pubblico con la stessa potenza delle esplosioni di Dunkirk (Christopher Nolan, 2017) ma quasi del tutto priva di pause. Al momento non è possibile avere alcuna certezza su come questo espediente esclusivamente sensoriale potrà funzionare quando l'opera arriverà in home video ma risulta evidente come sia stato pianificato per dare il meglio di sé con gli impianti di surround della sala cinematografica, a conferma dell'idea nolaniana di girare sempre e comunque in primo luogo per il grande schermo.


Tenet, in conclusione, potrebbe essere considerato, con alcune semplificazioni, un aggiornamento delle istanze metacinematografiche al cuore di The Prestige e Inception, un terzo manifesto della visione del cinema come numero di prestidigitazione maturata dal cineasta britannico, arricchita dall'esperienza maturata con il più intimo Dunkirk nell'utilizzo del suono come trucco illusionistico. Potremmo persino definirlo un divertissement rispetto al precedente war movie ma un film d'intrattenimento dall'elevata qualità, pienamente inserito all'interno della poetica dell'autore (si pensi all'ennesima rivisitazione del tema genitoriale) e foriero persino di un futuro tanto accennato quanto inquietante proprio per la naturalezza con cui viene introdotto. Tra le righe della spy story stilizzata le maglie di un domani in cui l'umanità appare così disperata per i nostri errori da creare un'arma per annichilire il nostro presente pone una minaccia ben più inquietante, specie a livello etico, di molte distopie viste su celluloide.