mercoledì 13 settembre 2017

T2 TRAINSPOTTING: L'INFINITO TUNNEL DEL PASSATO

In una sequenza del celeberrimo Tre uomini e una gamba (Aldo, Giovanni e Giacomo, Massimo Venier; 1997) Giovanni chiede all'amico Aldo se avesse mai rischiato e l'altro risponde "una volta ho messo 2 fisso a Inter-Cagliari". Della stessa portata è l'azzardo a opera di Danny Boyle nel girare con uno scarto di venti anni un sequel della sua opera più famosa, quel Trainspotting (1996) che oggi è simbolo di un'intera generazione e oggetto di culto per ogni milioni di cinefili. Ad aumentare ancora il livello di sfida è la scelta di ripudiare quasi completamente il seguito letterario del romanzo su cui era basato il prequel, optando per uno script quasi completamente originale.
Arrivato nelle sale nel 2017, T2 Trainspotting ha dovuto lottare con forza contro i pregiudizi di critica e fan, uno scontro dal quale è uscito vincente solo a metà: dal lato commerciale gli incassi hanno sicuramente deluso le aspettative ma la riuscita filmica è stata (per fortuna) riconosciuta da gran parte della critica.

Protagonista del film è nuovamente Mark Renton (Ewan McGregor), l'ex eroinomane al centro del precedente, il quale torna in Scozia a venti anni dalla sua fuga con i soldi rubati agli amici. Al suo rientro troverà Spud in procinto di suicidarsi e Sick Boy, o meglio Simon, alle prese con un racket di estorsione verso mariti fedifraghi e una compagna molto più giovane, Veronika, che lo comanda a bacchetta. Ovviamente i suoi due amici non hanno digerito il suo tradimento ma il vero angelo della vendetta diventa Begbie (Robert Carlyle), che evade dal carcere dopo venti anni di detenzione.

Come ho anticipato qualche riga fa, i dubbi intorno alla riuscita di T2 erano molti, soprattutto a causa dell'ingombrante primo capitolo, il cui fandom (come spesso accade purtroppo) aspettava la pellicola al varco con torcia e forcone, pronta a distruggerla al primo "errore" o "tradimento" verso il capostipite. Ebbene meglio levarsi subito il dente, questo secondo viaggio nel mondo creato da Irvine Welsh è narrativamente e formalmente assai diverso, quasi agli antipodi e con ottime argomentazioni a suffragarne un distacco così marcato. L'ultima fatica del regista di 28 giorni dopo (2002) abbandona volutamente la voce fuori campo, il tappeto sonoro rock e techno e la lente d'ingrandimento sulla generazione dei giovani della working class negli anni 90, tutti gli elementi distintivi di Trainspotting, per concentrarsi invece sui drammi interiori dei personaggi. Dal macro al micro, dalla sineddoche al crepuscolarismo, dalla gioventù alla maturità. Proprio il tempo assume il ruolo di centro nevralgico dell'intera struttura narrativa. Tutto ruota attorno al passato, dal romanzo di Spud alle serate a base di vecchie partite di Renton e Simon fino all'odio di Begbie. Nessuno è stato in grado di superare la soglia che porta alla maturità e all'accettazione di sé, tutti si trovano a convivere con i sensi di colpa causati da errori scelerati compiuti durante una gioventù (la migliore età secondo il luogo comune) scippata dalla tossicodipendenza. Un tunnel senza via di uscita reso visivamente con maestria da Boyle non tanto attraverso la parola, bensì con le immagini e il montaggio di esse, come accade nel grande cinema. I continui found footage provenienti dal prequel o che addirittura mostrano l'infanzia dei protagonisti sono tutt'altro che un semplice easter egg verso i fan, esemplificano in maniera chiara quanto il passato sia ancora ben vivo nel loro presenti e ne configuri le esistenze come un fantasma che infesta una casa. Allo stesso modo il ricorso a colori saturi e antinaturalistici in molte sequenze (ad esempio nella reunion finale nel pub tutta ammantata di verde) non risulta una sterile citazione postmoderna dell'estetica da spot pubblicitario tipica della seconda metà degli anni 90, di cui lo stesso regista inglese è considerato uno dei maggiori fautori, né un appiattirsi all'attuale tendenza dei colori al neon. Anche questa ricerca cromatica tende a mostrare, proprio a causa di questi riferimenti cinematografici forti, quanto peso abbia ancora oggi ciò che è stato, sia nelle vite di Mark e compagni, sia nel reale dell'uomo di tutti i giorni e di conseguenza persino nella settima arte contemporanea, tutta impregnata da sequel, remake, reboot e saghe divenute serial televisivi trasposti in sala.

A supporto dell'estro narrativo e visivo del cineasta britannico si confermano i quattro mattatori del cast, i quali anche dopo due decenni di distanza mostrano una familiarità reciproca e una sintonia con i personaggi interpretati tali da rendere quasi impercettibile questo gap temporale.
In conclusione T2 Trainspotting si rivela un film dotato di una propria innegabile personalità, mai succube delle qualità del prequel e specchio della maturità artistica e umana raggiunta dall'intera macchina cinematografica che lo muove.